Il metalinguaggio dei blog

Ad intervalli più o meno regolari, man mano che si sviluppa la mia timida esperienza in questo mondo fatto di post nello spazio virtuale dei blog, mi piace inserire qualche riflessione sulle sensazioni e sui pensieri che si sviluppano dentro di me su questo tema. E, a dire il vero, ogni tanto, mi piace anche scrivere degli articoli volutamente assai oscuri, per cui non sorprendetevi se questo post risulterà completamente incomprensibile.

Molto tempo fa, proprio agli albori della mia carriera blogamica, su un sito che ora seguo ancora anche se un po’ meno assiduamente, si celebrava uno di quegli eventi ben segnalati da WordPress quando si raggiungono i multipli centenari di follower. Ricordo bene che in un commento a quel post avevo cercato di esprimere un concetto che in quel momento mi sembrava riassumere l’estrema sintesi di quello che percepivo: ogni blog era un luogo dove gli avventori si raccoglievano e il padrone di quel blog era il fuoco sulla spiaggia intorno a cui tutti si radunavano. Più splendeva quel fuoco, più ricca era la folla di avventori.

A distanza di oltre un anno non mi sento di rivoluzionare quella percezione, anche se, come spesso accade nella vita, l’esperienza può mutare profondamente l’interpretazione che noi diamo di ciò che ci circonda. Oggi sono fermamente convinto che ogni blog abbia due facce: una evidente, comprensibile, aperta alla lettura di tutti coloro che vi si avvicinano, un’altra nascosta e profonda fatta di insignificanti briciole che il padrone di quel luogo lascia, anche involontariamente, dietro ogni post. Briciole per se stesso e per gli altri.
Ogni blog ha i suoi temi, il suo stile, le sue forme di comunicazione e di linguaggio. Ogni post ha il suo messaggio, la condivisione di un particolare stato d’animo o evento o pensiero. A volte espressi chiaramente, a volte celati da una storia apparentemente generalista ed impersonale.
Ma sotto traccia c’è spesso un percorso parallelo, quasi una sorta di metalinguaggio che scorre molto lentamente di articolo in articolo, di commento in commento, di storia in storia, di emozione in emozione, di sorriso in sorriso in un percorso che rivela qualcosa di più profondo di qualsiasi post.

Non tutti questi angoli virtuali hanno la stessa forza, la stessa abilità nel nascondere qualcosa nel metalinguaggio, nel tracciare la propria storia. Spesso, proprio dove lo sviluppo degli articoli è meglio definito e sistematico, lì l’originalità del meta percorso, il contributo dell’animo del singolo è meno presente e meno originale. E spesso, proprio dove è più vivido il fuoco che alimenta lo spazio virtuale, lì si finisce per perdere di vista l’altra luce profonda, quella che forse ha originato tutto, ma che con il tempo ha lasciato il passo a qualcos’altro.

Mi chiedo spesso perché, come lettore, preferisco questo mondo dei blog rispetto agli abbandonati ragni sociali come facebook e compagni. Un tempo pensavo che questo dipendesse più dai fuochi intensi di alcuni blogger. Oggi, a due anni circa da quando ho iniziato a sondare questo mondo, sono invece convinto che la mia passione deriva dalla percezione che in questo spazio si possano trovare indizi e piccole certezze sul fatto che con alcune persone, anche completamente sconosciute, si può condividere davvero tanto. E’ un sottile gioco di metalinguaggi e potenzialità, che non deriva la sua forza dal numero di follower, di commenti, di dichiarazioni di simpatia. Deriva tutto da qualcosa che accomuna in un filo sottile e impalpabile i pensieri e le emozioni di alcune persone.

Non sapere dove si è

Non vorrei sminuire il mio ruolo in questo universo, ma, in tutta onestà, non può che essere assai ininfluente. Tuttavia, quando come questa sera entro in un autogrill e sto per ordinare una semplice tagliata con rucola e aceto balsamico e la signora che mi deve servire, prima ancora che io apra bocca, mi guarda dritto negli occhi aprendosi in un sorriso quasi materno e mi dice lentamente, solennemente, con un tono che sembra uscire dal profondo di lei:

–  Lei è uno di noi! – e strizza gli occhi per accentuare il suo sorriso

Non è una frase e un tono  proprio dell’oste che accoglie il suo avventore. E, giuro, non ho la minima idea di cosa scorra nella sua mente, di cosa intenda con il mio appartenere a qualcosa. Era anche molto tempo che non mi fermavo in questo autogrill, ma, nonostante tutte queste negazioni, non riesco a non pensare di fare parte realmente di qualcosa che non capisco, ma sicuramente è molto vasto.
E l’aggettivo vasto è grezzo e immenso allo stesso tempo. È un aggettivo un pò magico. E allora mi fa piacere essere lì dove questa signora crede che io sia.

Black-out

Francesca osservava concentrata il volto di Stefano. Il sole arrivava di taglio a scandire gli zigomi asciutti del suo grande viso. Sembravano tirati in un accenno di sorriso, mentre scrutava divertito e quasi compiaciuto il movimento all’interno del bar dove stavano bevendo lentamente il loro aperitivo. Stefano era il ragazzo di Elena, la sorella di Francesca. Insieme l’avevano accompagnata un paio di ore prima e ora la stavano aspettando in quel locale, lì di fronte allo stabile un po’ datato ma elegante che ospitava il suo provino.

Stefano si sporse un po’ in avanti con lo sguardo ancora rivolto verso la sua sinistra e prese a dire:

  • Elena troverà concorrenza agguerrita, oggi. Sarà difficile vincere. Qui le ragazze sono tutte uno schianto. – Francesca distolse gli occhi dal volto di Stefano e ne seguì la direzione, mentre lui continuava. – Lei lo sapeva. Per questo ci ha voluti qui con lei, per farle coraggio. –

Lo sguardo di Francesca incrociò quello intenso e luminoso di una ragazza che guardava verso di loro con una minigonna cortissima, le gambe lunghe e affusolate che sembravano risalire verso l’alto seguendo i suoi capelli nerissimi e lucenti, e un’espressione sapientemente misurata tra il languido e lo spregiudicato. I muscoli del viso di Francesca, fuori dal suo controllo, si predisposero automaticamente ad un atteggiamento aggressivo, quasi di rabbia. Sembrò esserne colpita e si affrettò a riportare lo sguardo di fronte a sé. E lì l’espressione del suo volto mutò ancora velocemente, sorpresa dagli occhi azzurri di Stefano, che aveva a sua insaputa già abbandonato la perlustrazione del locale e la stava fissando intensamente.  Il cielo fuori si era fatto cupo. Le previsioni del tempo avevano anticipato l’arrivo di una intensa perturbazione, ma nessuno si sarebbe aspettato che in pieno ottobre sarebbero arrivati tuoni e fulmini così repentinamente. Il sole fendeva ancora l’interno del locale, ma sembrava quasi che il temporale in arrivo stesse applicando un filtro alla sua luce e gli occhi di Stefano spiccavano come saette. E il suo sorriso si era fatto sornione.

  • Elena sa il fatto suo. – riprese Stefano, sfiorando leggermente la sua mano. – Quando c’è da tirare fuori la grinta dà il meglio di sé. –
  • Cosa dici se ci avviamo e le andiamo incontro? – chiese Francesca, annuendo con la testa alla affermazione precedente .
  • Buona idea! Pago e le andiamo incontro –

Francesca osservava Stefano mentre era in coda alla cassa. Il suo elegante vestire e i suoi movimenti misurati e armonici rendevano insolitamente leggera la portanza del suo corpo modellato dalla frequentazione delle palestre e la sua voce sempre gentile, ma energica, dava alla sua presenza un senso di sicurezza quasi ancestrale. Pagato, si avviarono veloci attraversando la strada, mentre le prime gocce di pioggia pesanti già punteggiavano l’asfalto. Arrivati allo stabile, Francesca, appena davanti a Stefano, ancheggiò dolcemente per assecondare il movimento della porta girevole dell’ingresso, con la stessa leggiadria che Stefano conosceva bene. Francesca ed Elena erano proprio sorelle, stessi lunghi capelli carichi di riccioli naturali e ribelli, la pelle del viso radiosa senza imperfezioni e un corpo sinuoso ma discreto dalle proporzioni perfette. Appena entrati arrivò il messaggio di Elena: «Finito! 🙂 Qui sopra al quinto piano c’è una caffetteria. Venite ke prendiamo qualcosa? Vi aspetto all’ascensore»

Attesero il vecchio ascensore, affiancati. Stefano allungò affettuosamente il braccio a cingere la vita sottile di Francesca e fece finta di non accorgersi del suo piccolo sussulto quando l’aveva sfiorata. Entrarono. Fuori c’era già il finimondo, tuoni e fulmini come in piena estate, e nessuno avrebbe potuto immaginare che quell’ascensore si sarebbe fermato per più di un’ora a metà strada, due piani più in alto, a causa del black-out di quel giorno.