Something to say

È davvero molto tempo che questo blog è congelato. Anzi, a dire il vero, fino a stamani era morto, morto da qualche mese. Gli anni passano, le vite scorrono, le storie si intrecciano e a volte si snodano. È persino più difficile capire perché ogni aspetto della nostra vita prenda una sua strada particolare. È molto più facile lasciarsi trascinare dal nostro personalissimo fiume che ci spinge di qua e di là, facendoci credere che noi possiamo fare qualche cosa per fargli raggiungere qualche luogo speciale … ogni giorno che passa mi solletica il sospetto che se un giorno dobbiamo trovare un luogo speciale, forse non sarà nemmeno là fuori …

Ma non si deve fare l’errore di pensare che io abbia qualcosa da dire sui massimi sistemi. In sei anni o giù di là questa è la seconda volta che scorre qualche parola dentro questo contenitore.
Ogni tanto lo saggiavo, mi assicuravo che fosse ancora vivo, non ero pronto a lasciare andare questa parte di me, ma al contempo mi bastava la sua esistenza a certificare che quella parte di me esisteva ancora. Nemmeno questa è una storia importante.

Eppure un luogo come questo ha un suo senso.

Per capirlo bisogna essere utenti Facebook moderni, dopo essere stati utenti Facebook di primo pelo agli albori della sua storia. Tu un giorno entri su Facebook e … non te lo aspetti. Ti aspetti il solito “scrollone” di “notizie” con i segnali esistenziali di quelle poche persone a cui ti senti o ti sei sentito relazionato nella forma più consona al tuo percepire e che, sotto sotto, anche quando non le vedi e non le senti da tempo ti trasmettono quel calore del ricordo di essere stati il centro di momenti tutti tuoi che saranno sempre tutti tuoi.

E invece niente. Niente “scrollone”. Dito paralizzato nelle schermate più brutte che la storia Facebook abbia mai partorito.

E allora ti fai prendere un po’ dall’ansia. Vorresti correre ai ripari cliccando su quell’ “Usa senza costi aggiuntivi” che sembra una spiaggia sicura in questo mondo dove tutto è un supermercato ricolmo di zucchine giganti dal costo al kilo ancora più gigante. Sto per cliccare il pulsante blu. La pillola bianca e la pillola blu. La rossa se la sono fregata e messa via da qualche altra parte. Mi fermo un secondo.

“Usa senza costi aggiuntivi con le inserzioni” … mi sembra accettabile. Una volta ho comprato da una inserzione su fb una chiave/disco usb da 10Tbyte per 10 euro (una volta qualche anno prima nell’azienda in cui ero ho comprato 10Tbyte per 150.000€, n.d.r. ). Me ne sono arrivate due. Funzionano quando vogliono loro, ma ne ho un ricordo carico di simpatia.
Nella zona buona del pannellino c’è anche la stellina luminosa che sprizza scintille. Figa! Bellina! Sempre lì vedi “La tua esperienza attuale” un bel verde speranza che dà sicurezza. Pare voglia cancellare l’effetto della frase prima “Le tue informazioni saranno usate per le inserzioni”.

Diamo una chance alla pillola bianca … altra schermata artistica …

“Ecco cosa accadrà se ti abboni”. Mi tocco per sicurezza. Sbircio con soddisfazione i 9,99€/mese che non darò alla Meta. Torno indietro e chiudo Facebook, anche perché queste schermate sono davvero tristi.

Non che non fossi perfettamente cosciente della “Mia esperienza attuale” e di quello che significava, ma ogni giorno che passa mi convinco sempre di più che la civiltà occidentale è in pieno declino. È così alla deriva che si perde anche quel poco di poesia che a suo tempo ognuno di noi ha cercato di soffiare nello “scrollone” e che, ancora oggi, qualcuno che ammiro continua a popolare … io d’ora in poi non vedrò la vostra opera, e mi dispiace davvero. Unica vera fortuna del mondo sarà che la mia assenza su fb non farà parte delle grandi perdite.

The end (but no one can end anything)

Sono passati pià di tre anni.
E’ davvero tanto che non scrivo più qui. Questa sera, con un po’ di sorpresa, ho provato a vedere se questo blog esisteva ancora …  e sì, esiste ancora. Non credo nemmeno di sapere più come si faccia a mettere in fila delle parole.  Non credo di avere nemmeno più le credenziali per accedere salvate da qualche parte, ma il buon vecchio jetpack fa il lavoro di collegarsi per me.

E’ strano questo mondo.  Ci sono cose difficili che funzionano senza che noi facciamo nulla, ce ne sono altre di semplici che non c’è verso di far andare come vorremmo.
Questo blog è posizionato da molti anni all’interno di una pennetta che penzola dietro la tv della mia cucina, e, ancor oggi, risponde a quei malcapitati che il buon google decide di indirizzare verso questa sequenza di parole senza arte ne parte. Vi posso garantire che le parole salvate dentro questi articoli sono tutte storte che sfidano la gravità in una quotidiana lotta nel disperato tentativo di non schiantarsi sul piano della cucina. Penzolano tutte inclinate e per ora non precipitano. Quando le leggete sembrano rigorosamente orizzontali. Ma non è così. Segno austero che non esiste realtà più falsa di quella che arriva dalla rete.

Ma dopo anni sono entrato nel blog non per caso. Cercavo un ricordo. Il ricordo  di qualcosa che avevo scritto oltre sei anni fa e non rammentavo più.
Oggi mia mamma se ne è andata. Mio papà se ne era già andato a febbraio del 2020. Le malattie moderne non sono interessanti per questa storia.
Cercando il mio ricordo speravo forse di trovare qualcosa di incompleto, io credo. Qualcosa su cui costruire un nuovo pezzo, per tenere vivo il loro ricordo e con quello salutarli. Non ho trovato nulla a cui appigliarmi. Solo piccole frasi e sensazioni su cui provare commozione.

Ma non ho racconti da fare, solo una piccola ammenda. Nella mia vita ho parlato con loro un’infinità di volte, li ho anche ringraziati per mille cose, ma non ho mai speso una parola, un cenno di gratitudine per aver creato la mia di vita. La mia non è stata una vita di quelle roboanti, è stata una vita come altri miliardi di vite, nulla di più. Ma non credo sia compito dei genitori quello di generare vite roboanti. Hanno fatto un ottimo lavoro lo stesso, e, anche se non glielo ho mai detto, sono felice che lo abbiano fatto. E così non ho bisogno di salutarli. Domattina forse mi sveglierò come tutte le altre mattine e sapranno con soddisfazione, come lo so io, che lo devo solo a loro.

Guida rapida alla consultazione della colonna sonora

Credo che le persone cinefili si dividano in due grandi categorie: quelle che non vedono l’ora che esca il prossimo film francese e quelle che a quel film si addormenterebbero per certo.
Io appartengo a questa seconda categoria.
A mia parziale discolpa posso dire solo che davanti ad un film spero sempre di essere portato in un luogo differente da quello in cui mi trovo.
Ecco perché, in una giornata dove altri segnali positivi si sono accumulati a quelli pregressi, e sono riuscito a trovare il tempo per dedicare le due ore necessarie a guardare ed ascoltare con calma questo concerto di Hans Zimmer, io mi sono commosso.
Mezzo bicchiere di vino per sognare di essere stato là, ripensando a come le note di tante colonne sonore possano fare da filo conduttore di un percorso segnato da molti film francesi non visti, e si finisce facilmente in un luogo differente da dove si pensava si sarebbe stati.
Se siete utenti Netflix, o se volete sperimentare un suo abbonamento gratuito, e avete due ore libere da pensieri (come io non avevo avuto per troppo tempo), non esitate a guardare questo concerto di Hans Zimmer a Praga. Oppure cercatelo in qualche versione ad alta definizione, non importa.
Non ve ne pentirete.
Anche non vi piacesse, sareste comunque pronti per vedere con rinnovata soddisfazione il prossimo film francese in uscita, ed entrando al cinema sorriderete bonari pensando a quanto differenti siete da questo Pj.

 

Dentro vs Fuori

Dentro siamo fatti in un modo, fuori in un altro. A tratti le altre persone sfiorano il nostro essere interiore e lasciano un segno che non può essere cancellato. Ma seguire con costanza quel che frulla dentro di noi è sempre tutt’altro che banale …
In questo sottile equilibrio si svolge il contrastato divenire delle nostre relazioni.

Pausa caffè

Non so se sia un effetto della vecchiaia che si avvicina, ma tendo ad essere sempre più insofferente verso il cazzeggio. Amo i pochi momenti di svago che mi concedo, il resto, lo so, è per lo più vana frenesia, ma l’unica cosa che ho dentro di me è il desiderio di sfruttare ogni secondo della mia esistenza per arrivare dove sono ancora convinto di dover arrivare. Mi innervosiscono le persone che incrocio che sembrano sospingere la loro esistenza di minuto in minuto senza il bisogno e la voglia di costruire qualcosa diverso dallo scontato. Invidio e quasi disprezzo quelli che vivono con il solo scopo di inanellare un’altra giornata di divertimento e spensieratezza. Mi cruccio per ogni momento perduto, anche non per colpa mia, lontano dalla concretezza.
E penso a quanto tempo ho sprecato nella mia vita. A tratti anche mi rammarico per le clessidre che ho visto scendere intento a scrivere in questo blog.

Poi penso che non ha molto senso preoccuparsi né del tempo perduto, né delle scelte delle altre persone, né dello spazio che ci separa dalla fine delle nostre energie. Alla fine il riposo sono fiducioso arriverà e la cosa che conterà di più sarà solo l’onestà intellettuale con cui non potremo non giudicare l’impegno che abbiamo messo nella nostra vita per le cose che credevamo essere davvero importanti.

Un tempo si decideva sull’aborto

Quando avevo immaginato di cominciare a scrivere in questo blog mi ero ripromesso che non avrei parlato di politica. A distanza di due anni possiamo dire che il buon proposito è stato mantenuto, anche se, statisticamente parlando, una volta all’anno, casualmente sempre in autunno, mi capita invece di parlare della politica. Si potrebbe immaginare che io stia per rivelare quale voto esprimerò tra qualche giorno andando alle urne. Temo non sarà così, perchè in una certa misura non è nemmeno ancora certo cosa voterò. Posso solo dire che “andare alle urne” è una frase carica di armonia ed evocazione e quindi ai seggi ci finirò.

Credo di aver avuto quindici o sedici anni quando i miei genitori sono stati chiamati a dare un giudizio dirimente sull’ammissibilità dell’aborto. Anni prima lo avevano fatto anche sul matrimonio. Per loro e per gli italiani si era trattato di una sorta di percorso a tappe per cambiare nel profondo i costumi e la cultura della nostra nazione. Sulle scelte di allora io non ho avuto nessun peso ma un po’ ricordo l’atmosfera che si viveva. C’era soprattutto la sensazione di decidere qualcosa di importante. Da allora sono sono state molte le battaglie importanti che i promotori referendari hanno fatto loro: si è cercato di decidere se era lecito il finanziamento dei partiti, se potevamo avere centrali nucleari, se l’Enel poteva avere centrali nucleari all’estero (le centrali nucleari piacciono 🙂 e per questo ne teniamo molte ad agghindare il bordo dei nostri confini), se i cacciatori avevano veramente diritto di passeggiare nelle campagne altrui, sul numero di miglia marine oltre le quali poter costruire le stazioni di pompaggio di carburante, … Cose così.

In questo periodo contemporaneo avevamo avuto di nuovo la sensazione di poter votare qualcosa di importante. La politica moderna tuttavia è riuscita anche questa volta nell’intento di annacquare le nostre potenzialità. Mi hanno fatto crescere nella convinzione che “sfortunatamente” i nostri referendum non sono propositivi, ma solo abrogativi. Non stiamo parlando di qualche anno, intendiamoci, parliamo di tutta la mia vita intera. La mia e quella di molti altri. Vite passate nella convinzione che non si potesse veramente proporre qualcosa di importante da far decidere al popolo. La repubblica italiana, i padri costituenti, non avevano previsto questa possibilità. E non basta. Eravamo vissuti nella convinzione che un referendum se non raggiunge il quorum di votanti non serve a niente.

E oggi invece? cosa mi dicono?

“No, caro Paolo, sei un elettore che non ha capito niente! È ovvio! Se vuoi decidere se un cacciatore può violare un campo agricolo non recintato hai bisogno che altri venticinque milioni di italiani vogliano cancellare un capoverso da una oscura legge. Ma se invece ti è saltato in mente il ghiribizzo di cambiare tutto, allora sì puoi cambiare una qualche leggiucola, che ne so, la Costituzione, toglierle un po’ di quella muffa che si è accumulata in questo dopoguerra troppo prolungato e poi, non c’è problema, bastano altri due gatti a votarla assieme a te che tutto è fatto. Semplice no?”
“In fondo, caro Paolo, non ti vorrai mica mettere a fare il sofista sul fatto che non ti abbiamo lasciato decidere un cazzo per il resto della vita? La vuoi o non la vuoi cambiare in meglio quest’Italia.”

E a queste convincenti posizioni cosa potevo rispondere se non un:

“Ciumbia! Certo che voglio cambiare l’Italia in meglio!”

“Ah, bravo!” – mi dicono – “E ora ascolta qua.” – continuano – “Se sopprimiamo il Senato e qualche articolo, sì è vero cambiamo tutto, ma è troppo semplice. Si accorgerebbero tutti che vogliamo risparmiare, velocizzare lo stato, rendere lineari i processi decisionali e basta. Meglio portare da 9 a 438 le parole dell’articolo 70 con ben 12 rimandi ad altri articoli cosicchè non si capisca proprio tutto e poi magari, invece di dire gli ambiti di competenza legislativa delle regioni, che così ormai sappiamo che non funziona, proviamo a dire quelli della Camera, così, con un po’ di culo, ci andrà meglio. Che ne pensi?”

“Mah ” – rispondo timidamente – ” … mi sembra interessante … ma semplificare un po’ di più, non si può proprio fare?”

“Cazzo! Non capisci proprio niente!” – mi dicono perentori – “Abbiamo anche fatto che possiamo votare in quattro gatti e ti cambiamo l’Italia, e ancora niente. Sei il solito cazzone che non sai mai deciderti. Facciamo così. Semplifichiamo ancora. Facciamo che se voti sì allora è come se confermassi la carica dell’attuale Presidente del Consiglio, così, con un po’ di fortuna, non c’è nemmeno bisogno di andare a votare alle prossime politiche. Dì che siamo fighi!”

“Siete fighi! Vado sìcuramente a votare!”

Esco da questa illuminante discussione che finalmente mi sembra chiaro come sono cambiati i tempi da quando si votava per decidere sull’aborto. Sono sempre un po’ confuso, perchè vorrei davvero cambiare l’Italia, e in più mi sento dentro una specie di gabbia. Ero convinto che il popolo italiano si fosse espresso per il divorzio molto molto tempo fa, ma il nostro matrimonio con questa politica stanca e senza stimoli non accenna a potersi incrinare. È tutto proprio come in quelle relazioni che si trascinano nella insulsa consuetudine in cui uno dei due coniugi impone all’altro tutte le peggiori dinamiche, minacciando un abbandono che per noi sarebbe solo una salvezza.

Mi chiedo come mai non ci sia nessuno che semplifichi davvero, qualcuno che scriva nella costituzione italiana un articolo che dica “le leggi dello stato non possono rimandare ad un’altra legge, devono essere autoconsistenti”, qualcuno che dica se Senato non deve essere Senato non sia, se questo o quell’ente non influenza nel bene la nostra vita di cittadini allora muoia. Perchè siamo obblligati a tenerci un coniuge che da cinquantanni ci tiene chiusi sempre di più nella povertà coltivando sempre di più i suoi interessi? È davvero così difficile trovare forme e persone attente maggiormente alla missione piuttosto che alla professione del governante? Qualcuno che non confonda costantemente la sacrosanta locuzione latina “Ora pro nobis” in “Dona pro nobis”? Se pensassero veramente alla loro missione potremmo pagarli pure di più.

Il metalinguaggio dei blog

Ad intervalli più o meno regolari, man mano che si sviluppa la mia timida esperienza in questo mondo fatto di post nello spazio virtuale dei blog, mi piace inserire qualche riflessione sulle sensazioni e sui pensieri che si sviluppano dentro di me su questo tema. E, a dire il vero, ogni tanto, mi piace anche scrivere degli articoli volutamente assai oscuri, per cui non sorprendetevi se questo post risulterà completamente incomprensibile.

Molto tempo fa, proprio agli albori della mia carriera blogamica, su un sito che ora seguo ancora anche se un po’ meno assiduamente, si celebrava uno di quegli eventi ben segnalati da WordPress quando si raggiungono i multipli centenari di follower. Ricordo bene che in un commento a quel post avevo cercato di esprimere un concetto che in quel momento mi sembrava riassumere l’estrema sintesi di quello che percepivo: ogni blog era un luogo dove gli avventori si raccoglievano e il padrone di quel blog era il fuoco sulla spiaggia intorno a cui tutti si radunavano. Più splendeva quel fuoco, più ricca era la folla di avventori.

A distanza di oltre un anno non mi sento di rivoluzionare quella percezione, anche se, come spesso accade nella vita, l’esperienza può mutare profondamente l’interpretazione che noi diamo di ciò che ci circonda. Oggi sono fermamente convinto che ogni blog abbia due facce: una evidente, comprensibile, aperta alla lettura di tutti coloro che vi si avvicinano, un’altra nascosta e profonda fatta di insignificanti briciole che il padrone di quel luogo lascia, anche involontariamente, dietro ogni post. Briciole per se stesso e per gli altri.
Ogni blog ha i suoi temi, il suo stile, le sue forme di comunicazione e di linguaggio. Ogni post ha il suo messaggio, la condivisione di un particolare stato d’animo o evento o pensiero. A volte espressi chiaramente, a volte celati da una storia apparentemente generalista ed impersonale.
Ma sotto traccia c’è spesso un percorso parallelo, quasi una sorta di metalinguaggio che scorre molto lentamente di articolo in articolo, di commento in commento, di storia in storia, di emozione in emozione, di sorriso in sorriso in un percorso che rivela qualcosa di più profondo di qualsiasi post.

Non tutti questi angoli virtuali hanno la stessa forza, la stessa abilità nel nascondere qualcosa nel metalinguaggio, nel tracciare la propria storia. Spesso, proprio dove lo sviluppo degli articoli è meglio definito e sistematico, lì l’originalità del meta percorso, il contributo dell’animo del singolo è meno presente e meno originale. E spesso, proprio dove è più vivido il fuoco che alimenta lo spazio virtuale, lì si finisce per perdere di vista l’altra luce profonda, quella che forse ha originato tutto, ma che con il tempo ha lasciato il passo a qualcos’altro.

Mi chiedo spesso perché, come lettore, preferisco questo mondo dei blog rispetto agli abbandonati ragni sociali come facebook e compagni. Un tempo pensavo che questo dipendesse più dai fuochi intensi di alcuni blogger. Oggi, a due anni circa da quando ho iniziato a sondare questo mondo, sono invece convinto che la mia passione deriva dalla percezione che in questo spazio si possano trovare indizi e piccole certezze sul fatto che con alcune persone, anche completamente sconosciute, si può condividere davvero tanto. E’ un sottile gioco di metalinguaggi e potenzialità, che non deriva la sua forza dal numero di follower, di commenti, di dichiarazioni di simpatia. Deriva tutto da qualcosa che accomuna in un filo sottile e impalpabile i pensieri e le emozioni di alcune persone.

Non sapere dove si è

Non vorrei sminuire il mio ruolo in questo universo, ma, in tutta onestà, non può che essere assai ininfluente. Tuttavia, quando come questa sera entro in un autogrill e sto per ordinare una semplice tagliata con rucola e aceto balsamico e la signora che mi deve servire, prima ancora che io apra bocca, mi guarda dritto negli occhi aprendosi in un sorriso quasi materno e mi dice lentamente, solennemente, con un tono che sembra uscire dal profondo di lei:

–  Lei è uno di noi! – e strizza gli occhi per accentuare il suo sorriso

Non è una frase e un tono  proprio dell’oste che accoglie il suo avventore. E, giuro, non ho la minima idea di cosa scorra nella sua mente, di cosa intenda con il mio appartenere a qualcosa. Era anche molto tempo che non mi fermavo in questo autogrill, ma, nonostante tutte queste negazioni, non riesco a non pensare di fare parte realmente di qualcosa che non capisco, ma sicuramente è molto vasto.
E l’aggettivo vasto è grezzo e immenso allo stesso tempo. È un aggettivo un pò magico. E allora mi fa piacere essere lì dove questa signora crede che io sia.