I due generi

generi

A volte mi assale la certezza che a questo mondo le persone si dividano in due grandi gruppi. Una divisione pressoché assoluta, epocale, come la divisione tra il genere maschile e quello femminile.
Esistono persone per le quali l’esistenza si assesta senza scossoni, le giornate si susseguono senza perturbazioni significative, trovando una logica compiuta nel lento evolvere degli eventi quotidiani, delle relazioni stabili, dell’accettazione, non sempre serena, ma profondamente chiara che l’oggi è qui e il domani arriverà. Nessun mulino a vento da sconfiggere, nessun acuto da sfornare dal forno della propria vita.
E, dall’altro lato, ci sono persone che non trovano mai il luogo buono, la situazione perfetta in cui essere se stessi. Ogni episodio, per quanto positivo e sorridente, ha sempre un lontano retrogusto di incompletezza. Porta con se il presagio che presto anche quel momento lascerà il posto ad un qualche cambiamento che lo negherà.
Non mi è dato ancora sapere se questo secondo gruppo di persone sia destinato comunque a trovare, nel corso della sua esistenza, l’habitat finale che gli farà pensare: “Ecco, sono qui. Alla fine sono arrivato anch’io. La mia Ultima Spiaggia è qui e valeva la pena vagare a lungo per fermarsi a guardare l’Oceano da questo punto”. O se invece la ricerca non ammette soste.
So però che come non esiste un genere migliore dell’altro, così anche non esiste una vera supremazia tra chi fa uso continuo della stabilità e chi non sa nemmeno quale sapore possa avere. Un uomo non è migliore di una donna, e chi è arrivato non è migliore di chi è sempre in viaggio.
E credo anche di sapere che, negli anni, si stia concretizzando una lenta migrazione da un lato all’altro del crepaccio che ci divide.
Siamo il popolo migratore della felicità incompleta.