Accade nella vita di incorrere in momenti di solitudine. Ieri sera alla fine di una giornata di assoluto relax, persa a muovere il corpo da una posizione di riposo all’altra, mi sono ritrovato nella situazione inusuale di poter decidere cosa fare del residuo tempo crepuscolare della mia giornata. Chi mi conosce sa che non è propriamente un delitto se ogni tanto passo qualche ora di cazzeggio, nell’assoluta apatia, così come sa bene che non sono un amante dei mega ritrovi di persone, troppo spesso cariche del bisogno di primeggiare in perfezione con gli astanti.
Ieri tuttavia non avrei disdegnato il passare una serata con qualcuno a scambiare qualche pensiero davanti ad una birra o ad una pizza o, perché no, dopo un film. E ci ho anche provato, ma, come spesso accade in questi casi, la probabilità di incontrare la disponibilità delle persone intorno a noi è inversamente proporzionale al bisogno che noi abbiamo di passare del tempo con loro.
La solitudine certe volte è pesantissima da sopportare, altre volte invece è una specie di varco che ci porta a sondare una parte di noi stessi su cui spesso non abbiamo la costanza e la coerenza di riflettere. Così ieri sera sono finito a cenare tutto solo in terrazzo, di fronte a un crepuscolo nemmeno particolarmente colorato, con un paio di bicchieri di vino e due piatti molto semplici, gustati con calma in attesa del film noleggiato per l’occasione scelto opportunamente tra quelli che ti consentono di scollegare il cervello.
Mentre cenavo, complice l’entrata in circolo di un po’ di grado alcolico e la musica jazz vagamente melanconica proposta dalla playlist youtube lasciata libera di agire, senza accorgermi, sono finito a far divagare la mente in uno dei miei ragionamenti color pastello perennemente incompiuti …
Si sperimentano quotidianamente le difficoltà che dobbiamo fronteggiare per dare un senso compiuto alla nostra vita. E tra tutte le difficoltà che incrociamo, anche se spesso ci piace rivolgere la nostra imprecazione verso altre destinazioni, i nostri limiti personali rappresentano il vero scoglio su cui ci infrangiamo più spesso.
Chi più chi meno, brancoliamo tutti nella più ineluttabile confusione tra dove siamo e dove vorremmo essere, tra dove potremmo andare e dove le persone intorno a noi ci lasciano andare. Siamo tutti ricchi di limiti. Limiti fisici, legati alla nostra persona, limiti fisici, legati a cause esterne. In primis, il tempo che abbiamo a disposizione, per noi stessi e per le persone a cui vogliamo bene o che ci vogliono bene. Limiti caratteriali, che nelle situazioni più disparate che ci propone la vita ci fanno costantemente oscillare tra l’inadeguato e l’inopportuno, tra l’insensibile e il troppo bisognoso di affetto. A volte riusciamo anche a superarli i nostri limiti, ma la sensazione che ne traiamo non è sempre piacevole. Specialmente quando ci accorgiamo che i limiti, buttati alle nostre spalle con grande difficoltà, di fatto erano inesistenti, erano quelli che ci eravamo regalati da noi, solo per autolimitarci, e per mascherare le nostre paure dietro un vuoto paravento.
Anche quando ci sembra di attraversare un periodo in cui tutto pare funzionare nel miglior modo possibile, la nostra esperienza ci insegna che una nuova rivisitazione è nell’aria, perché qualcosa su cui scontrarci la troviamo sempre e, se proprio non ci imbattiamo in nessun ostacolo, entra in gioco quello che forse è il nostro limite ultimo (e nel contempo anche il motivo per cui l’umanità è sempre in evoluzione), quel gene che abbiamo dentro che non ci rende mai contenti, arrivati ad un traguardo sentiamo il bisogno di superarlo e lasciarcelo alle spalle. Anche se quel traguardo ha a che fare con la nostra serenità. In fondo serenità e noia hanno i loro campi che condividono lo stesso confine.
Ecco, ieri sera, in una cena solitaria in terrazzo, mi sono passati davanti tutti i limiti di cui sono portatore sano, tutti i principali per lo meno. Non ha senso condividerli, è più saggio lasciarvi con i vostri. Ma mentre li scorrevo ad uno ad uno, mi è stato chiaro qual’è il loro denominatore comune.
Ai nostri limiti piace viaggiare in gruppo e combinare le marachelle tutti assieme nella nostra vita, giusto per farci ricordare sempre con affetto che loro ci sono, sono tanti e sono tutti nostri.
e come hai detto….sono tutti imposti da noi stessi! Siamo proprio bravi a complicarci le cose….. Ti auguro di riuscire a prendere quelli più assurdi e a buttarli nella spazzatura….. Buona serata! (questo è il nuovo blog, sono silvia)
Grazie per l’augurio, ci lavoreremo.:-) E grazie per il puntamento al nuovo blog!
Un abbraccio
Beh, sarà il momento particolare in cui lo leggo, ma questo post è uno di quelli che più ha toccato le mie corde. Da tanto questi ragionamenti sono nell’aria, per motivi che poi ti dirò di persona. Tornerò su questo articolo, che sicuramente merita una rilettura, e forse anche un’altra e un’altra ancora, ma intanto voglio raccontarti una cosa.
Ho un figlio.
Vabbè, non saltare sulla sedia, intendevo un figlioccio. Figlio del mio compagno, tra di noi c’è sempre stato un grande feeling, anche se i nostri caratteri erano opposti.
Lui è un audace. Lui ogni tanto si rompeva – e ancora si rompe – qualche osso. Spesso siamo andati a ripescarcelo in qualche ospedale, ma lui non demordeva, due chiodi qui, due viti là, e di nuovo in sella a mordere la vita.
Oggi vive in un posto paradisiaco, e in un suo stato fb ha scritto “Ho trovato la mia dimensione. Anzi, è la mia dimensione che ha trovato me”.
Io, ingabbiata nel mio miniappartamento, in mezzo a smog e asfalto, con tanta voglia di volare, di correre, di respirare, lo invidio(nel senso buono, s’intende)
Io ho la sicurezza che cercavo, un tetto sulla testa, non ho problemi per pagari il dentista, o i libri a mia figlia, o comprarmi un paio di scarpe in più, ma mi sto chiedendo davvero se il gioco sia valso la candela. Ho voglia di verde, di respirare, di correre, di prendere possesso del mio tempo. Ho voglia di un rapporto immanente con la natura, voglia di farne parte, di immergermi nel verde, nell’aria, davvero di mordere la vita, nel senso più sano del termine.
La propensione per il rischio però non è cosa che si compri al supermercato: non oso pensare di vivere in condizioni di bisogno, o peggio ancora farci vivere le persone che la vita mi ha affidato e che dipendono da me. E così ogni mattina, dopo avere aspettato una vita alla fermata, monto sul mio autobus, stretta come una sardina, diretta a un lavoro che in fondo non ho neanche scelto.
Però a tutto questo c’è un antitodo: trovare assolutamente l’aspetto positivo in tutto questo, che sia la sicurezza, che sia il contatto umano, che sia quello che sia.
Alla fine, amare quello che si ha è una risorsa da non sottovalutare.
E’ un commento carico di immagini e di significati questo tuo.
Io amo la montagna, l’aria frizzante che porta con sé il vento alle pendici di una forcella. E quando dico che amo la montagna, vuol dire che sono rimasto estasiato passeggiando al tramonto in riva al mare, circondato dal volteggiare dei gabbiani. Eppure con il tempo ho capito che il luogo più paradisiaco in cui possiamo essere è quello in cui siamo in pace con noi stessi, dentro noi stessi. La Natura intorno a noi può insegnarci l’equilibrio da emulare, la propensione al rischio può portarci in luoghi inesplorati che ci danno estasi, ma tutto serve ad arrivare nel posto giusto dentro noi stessi.
è vero….se si è in pace con se stessi e si ha raggiunto il proprio equilibrio interiore….si sta bene ovunque 🙂
Proprio così, Silvia 🙂 … si sta bene ovunque se ci sentiamo noi.
Bellissimo…e fa riflettere. Abbiamo tanti limiti e non siamo mai contenti della nostra situazione, ma se raggiungi una pace interiore te la porti dietro in qualunque luogo tu sia…è un traguardo difficile ma non impossibile…
Grazie Gigi. Ci si lavora tutti a questo traguardo. A volte, alcuni fortunati, lo raggiungono. 🙂
E perché non potremmo essere tra quei fortunati? 😉 Un saluto PJ
Ci sono limiti che sono linee come traguardi. Ci arrivi, li superi e sei pronto ad andare avanti. Ci sono limiti che sono fortezze inespugnabili, così temuti che il pensiero di superarli è pura utopia. Non lo farò mai sta scritto sulla porta del limite come fosse un lasciate ogni speranza voi ch’entrate ma al contrario. Ci sono limiti materni, che ti danno la mano fino ai dieci anni per attraversare la strada. Dopo vai via di casa e non ci sono più. Ci sono limiti come i dieci comandamenti e limiti come i sette peccati. Ci sono limiti divertenti che ti fanno il solletico. E ci sono limiti affilati come lame, come la felicità di Montale. Ci sono troppi limiti non scritti da convenzioni non internazionali ma incredibilmente incrollabili. Ci sono limiti che uccidono possibilità. E ci sono limiti che salvano la vita. E poi? E poi c’è l’adrenalina.
p.s. sono venuta a curiosare io 🙂
Sai, non avevo mai associato l’adrenalina ai nostri limiti. E invece ha tutto molto senso. L’adrenalina in tutte le sue articolate forme è forse il più grande antidoto che abbiamo a disposizione per buttarci alle spalle qualcuno dei nostri limiti.
Il tuo commento è “curiosamente” acuto. Sospetto che l’adrenalina per te sia un elemento importante, te lo ho sentito citare in più di un passaggio. 🙂
P.S. Questa volta mi hai battuto sul tempo con la curiosità. Ma con calma mi rifarò. 😉
Ci sono limiti con cui conviviamo così bene che non li consideriamo nemmeno più tali. Un po’ si chiamano regole, un po’ buon senso, alcuni morale. Ci rendono pacifici, buoni, moderati. Bere un buon vino non significa scolarsi l’intera bottiglia. Però a volte anche ora che siamo adulti possiamo inseguire qualche limite, superarlo, infrangere una regoletta, essere un po’ immorali. Se in quel momento senti che può andare così, perché non fare? E così arriva il brivido. La scossa. Ho sempre sciato. Poi ho interrotto per qualche anno e ho ripreso. All’inizio non avevo la stessa confidenza. Mi ero messa addosso uno zaino di limiti. Ma sciare mi piace, è come respirare. Ho iniziato a limarli piano piano. Poi è successo. Una nera presa per il verso giusto. Tutto il corpo che risponde perfetto. Arrivo in fondo soddisfatta. Il secondo giro studio. E poi arriva il terzo, quando non mi fermo, anzi spingo più forte, mi piego, sento i muscoli vibrare, l’ aria sulla faccia, il salto della pendenza che cambia e alla fine arrivo che ho ancora un briciolo di fiato per gridarmi GRANDE!
😀 😀 si sentiva che l’adrenalina è parte del tuo sentirti completa. E questo bel racconto lo fa percepire molto bene. Ti si immagina sfrecciare sferzata dal vento fuori in un subbuglio di emozioni dentro.
Io non scio da anni e ho lo spirito di chi non può tanto concedersi il lusso di rischiare di rompersi. Amo la montagna ( qualcosa mi dice che è una passione comune) ma da sempre le vertigini sono un deterrente al godere appieno dell’habitat che prediligo.
Ma in forme diverse, e talora estreme, da qualche anno a questa parte alcuni vecchi limiti sono diventati solo polvere.
Certo che è un po’ strano: una poetessa rossa che imperversa sulle nere non so perchè ma mi suona di tumultuosa contraddizione. 🙂
Mi piace la velocità. Comunque mi riconosci perché sono ‘quella con la giacca fucsia’, che si diverte a stracciare ‘quelli troppe chiacchiere e distintivo’! La mia nera preferita è la Gran Risa in Alta Badia. La fai due volte, la terza è un limite che non intendo superare!
Mi piace la montagna, anche se il mare vince sempre e così lei resta la sorella minore. 🙂
😀 😀 😀 Ti immagino. Fucsia sgargiante, adrenalinica scheggia straccia tutti. Se capiterò da quelle parti alzerò l’occhio all’insù. Io ho paura di rompermi anche solo vedendo il video su youtube di quelli che la discendono.
Potresti girarne uno anche tu alla prossima discesa, postarlo, così lo si rivive assieme almeno un pochino. 😉
Il mare è un classico senza tempo. Non ha bisogno di presentazioni e, in certi periodi dell’anno, vince facile.