Sono passati pià di tre anni.
E’ davvero tanto che non scrivo più qui. Questa sera, con un po’ di sorpresa, ho provato a vedere se questo blog esisteva ancora … e sì, esiste ancora. Non credo nemmeno di sapere più come si faccia a mettere in fila delle parole. Non credo di avere nemmeno più le credenziali per accedere salvate da qualche parte, ma il buon vecchio jetpack fa il lavoro di collegarsi per me.
E’ strano questo mondo. Ci sono cose difficili che funzionano senza che noi facciamo nulla, ce ne sono altre di semplici che non c’è verso di far andare come vorremmo.
Questo blog è posizionato da molti anni all’interno di una pennetta che penzola dietro la tv della mia cucina, e, ancor oggi, risponde a quei malcapitati che il buon google decide di indirizzare verso questa sequenza di parole senza arte ne parte. Vi posso garantire che le parole salvate dentro questi articoli sono tutte storte che sfidano la gravità in una quotidiana lotta nel disperato tentativo di non schiantarsi sul piano della cucina. Penzolano tutte inclinate e per ora non precipitano. Quando le leggete sembrano rigorosamente orizzontali. Ma non è così. Segno austero che non esiste realtà più falsa di quella che arriva dalla rete.
Ma dopo anni sono entrato nel blog non per caso. Cercavo un ricordo. Il ricordo di qualcosa che avevo scritto oltre sei anni fa e non rammentavo più.
Oggi mia mamma se ne è andata. Mio papà se ne era già andato a febbraio del 2020. Le malattie moderne non sono interessanti per questa storia.
Cercando il mio ricordo speravo forse di trovare qualcosa di incompleto, io credo. Qualcosa su cui costruire un nuovo pezzo, per tenere vivo il loro ricordo e con quello salutarli. Non ho trovato nulla a cui appigliarmi. Solo piccole frasi e sensazioni su cui provare commozione.
Ma non ho racconti da fare, solo una piccola ammenda. Nella mia vita ho parlato con loro un’infinità di volte, li ho anche ringraziati per mille cose, ma non ho mai speso una parola, un cenno di gratitudine per aver creato la mia di vita. La mia non è stata una vita di quelle roboanti, è stata una vita come altri miliardi di vite, nulla di più. Ma non credo sia compito dei genitori quello di generare vite roboanti. Hanno fatto un ottimo lavoro lo stesso, e, anche se non glielo ho mai detto, sono felice che lo abbiano fatto. E così non ho bisogno di salutarli. Domattina forse mi sveglierò come tutte le altre mattine e sapranno con soddisfazione, come lo so io, che lo devo solo a loro.
Credo che le persone cinefili si dividano in due grandi categorie: quelle che non vedono l’ora che esca il prossimo film francese e quelle che a quel film si addormenterebbero per certo.
Io appartengo a questa seconda categoria.
A mia parziale discolpa posso dire solo che davanti ad un film spero sempre di essere portato in un luogo differente da quello in cui mi trovo.
Ecco perché, in una giornata dove altri segnali positivi si sono accumulati a quelli pregressi, e sono riuscito a trovare il tempo per dedicare le due ore necessarie a guardare ed ascoltare con calma questo concerto di Hans Zimmer, io mi sono commosso.
Mezzo bicchiere di vino per sognare di essere stato là, ripensando a come le note di tante colonne sonore possano fare da filo conduttore di un percorso segnato da molti film francesi non visti, e si finisce facilmente in un luogo differente da dove si pensava si sarebbe stati.
Se siete utenti Netflix, o se volete sperimentare un suo abbonamento gratuito, e avete due ore libere da pensieri (come io non avevo avuto per troppo tempo), non esitate a guardare questo concerto di Hans Zimmer a Praga. Oppure cercatelo in qualche versione ad alta definizione, non importa.
Non ve ne pentirete.
Anche non vi piacesse, sareste comunque pronti per vedere con rinnovata soddisfazione il prossimo film francese in uscita, ed entrando al cinema sorriderete bonari pensando a quanto differenti siete da questo Pj.
Dentro siamo fatti in un modo, fuori in un altro. A tratti le altre persone sfiorano il nostro essere interiore e lasciano un segno che non può essere cancellato. Ma seguire con costanza quel che frulla dentro di noi è sempre tutt’altro che banale …
In questo sottile equilibrio si svolge il contrastato divenire delle nostre relazioni.
Non so se sia un effetto della vecchiaia che si avvicina, ma tendo ad essere sempre più insofferente verso il cazzeggio. Amo i pochi momenti di svago che mi concedo, il resto, lo so, è per lo più vana frenesia, ma l’unica cosa che ho dentro di me è il desiderio di sfruttare ogni secondo della mia esistenza per arrivare dove sono ancora convinto di dover arrivare. Mi innervosiscono le persone che incrocio che sembrano sospingere la loro esistenza di minuto in minuto senza il bisogno e la voglia di costruire qualcosa diverso dallo scontato. Invidio e quasi disprezzo quelli che vivono con il solo scopo di inanellare un’altra giornata di divertimento e spensieratezza. Mi cruccio per ogni momento perduto, anche non per colpa mia, lontano dalla concretezza.
E penso a quanto tempo ho sprecato nella mia vita. A tratti anche mi rammarico per le clessidre che ho visto scendere intento a scrivere in questo blog.
Poi penso che non ha molto senso preoccuparsi né del tempo perduto, né delle scelte delle altre persone, né dello spazio che ci separa dalla fine delle nostre energie. Alla fine il riposo sono fiducioso arriverà e la cosa che conterà di più sarà solo l’onestà intellettuale con cui non potremo non giudicare l’impegno che abbiamo messo nella nostra vita per le cose che credevamo essere davvero importanti.
Quando avevo immaginato di cominciare a scrivere in questo blog mi ero ripromesso che non avrei parlato di politica. A distanza di due anni possiamo dire che il buon proposito è stato mantenuto, anche se, statisticamente parlando, una volta all’anno, casualmente sempre in autunno, mi capita invece di parlare della politica. Si potrebbe immaginare che io stia per rivelare quale voto esprimerò tra qualche giorno andando alle urne. Temo non sarà così, perchè in una certa misura non è nemmeno ancora certo cosa voterò. Posso solo dire che “andare alle urne” è una frase carica di armonia ed evocazione e quindi ai seggi ci finirò.
Credo di aver avuto quindici o sedici anni quando i miei genitori sono stati chiamati a dare un giudizio dirimente sull’ammissibilità dell’aborto. Anni prima lo avevano fatto anche sul matrimonio. Per loro e per gli italiani si era trattato di una sorta di percorso a tappe per cambiare nel profondo i costumi e la cultura della nostra nazione. Sulle scelte di allora io non ho avuto nessun peso ma un po’ ricordo l’atmosfera che si viveva. C’era soprattutto la sensazione di decidere qualcosa di importante. Da allora sono sono state molte le battaglie importanti che i promotori referendari hanno fatto loro: si è cercato di decidere se era lecito il finanziamento dei partiti, se potevamo avere centrali nucleari, se l’Enel poteva avere centrali nucleari all’estero (le centrali nucleari piacciono 🙂 e per questo ne teniamo molte ad agghindare il bordo dei nostri confini), se i cacciatori avevano veramente diritto di passeggiare nelle campagne altrui, sul numero di miglia marine oltre le quali poter costruire le stazioni di pompaggio di carburante, … Cose così.
In questo periodo contemporaneo avevamo avuto di nuovo la sensazione di poter votare qualcosa di importante. La politica moderna tuttavia è riuscita anche questa volta nell’intento di annacquare le nostre potenzialità. Mi hanno fatto crescere nella convinzione che “sfortunatamente” i nostri referendum non sono propositivi, ma solo abrogativi. Non stiamo parlando di qualche anno, intendiamoci, parliamo di tutta la mia vita intera. La mia e quella di molti altri. Vite passate nella convinzione che non si potesse veramente proporre qualcosa di importante da far decidere al popolo. La repubblica italiana, i padri costituenti, non avevano previsto questa possibilità. E non basta. Eravamo vissuti nella convinzione che un referendum se non raggiunge il quorum di votanti non serve a niente.
E oggi invece? cosa mi dicono?
“No, caro Paolo, sei un elettore che non ha capito niente! È ovvio! Se vuoi decidere se un cacciatore può violare un campo agricolo non recintato hai bisogno che altri venticinque milioni di italiani vogliano cancellare un capoverso da una oscura legge. Ma se invece ti è saltato in mente il ghiribizzo di cambiare tutto, allora sì puoi cambiare una qualche leggiucola, che ne so, la Costituzione, toglierle un po’ di quella muffa che si è accumulata in questo dopoguerra troppo prolungato e poi, non c’è problema, bastano altri due gatti a votarla assieme a te che tutto è fatto. Semplice no?”
“In fondo, caro Paolo, non ti vorrai mica mettere a fare il sofista sul fatto che non ti abbiamo lasciato decidere un cazzo per il resto della vita? La vuoi o non la vuoi cambiare in meglio quest’Italia.”
E a queste convincenti posizioni cosa potevo rispondere se non un:
“Ciumbia! Certo che voglio cambiare l’Italia in meglio!”
“Ah, bravo!” – mi dicono – “E ora ascolta qua.” – continuano – “Se sopprimiamo il Senato e qualche articolo, sì è vero cambiamo tutto, ma è troppo semplice. Si accorgerebbero tutti che vogliamo risparmiare, velocizzare lo stato, rendere lineari i processi decisionali e basta. Meglio portare da 9 a 438 le parole dell’articolo 70 con ben 12 rimandi ad altri articoli cosicchè non si capisca proprio tutto e poi magari, invece di dire gli ambiti di competenza legislativa delle regioni, che così ormai sappiamo che non funziona, proviamo a dire quelli della Camera, così, con un po’ di culo, ci andrà meglio. Che ne pensi?”
“Mah ” – rispondo timidamente – ” … mi sembra interessante … ma semplificare un po’ di più, non si può proprio fare?”
“Cazzo! Non capisci proprio niente!” – mi dicono perentori – “Abbiamo anche fatto che possiamo votare in quattro gatti e ti cambiamo l’Italia, e ancora niente. Sei il solito cazzone che non sai mai deciderti. Facciamo così. Semplifichiamo ancora. Facciamo che se voti sì allora è come se confermassi la carica dell’attuale Presidente del Consiglio, così, con un po’ di fortuna, non c’è nemmeno bisogno di andare a votare alle prossime politiche. Dì che siamo fighi!”
“Siete fighi! Vado sìcuramente a votare!”
Esco da questa illuminante discussione che finalmente mi sembra chiaro come sono cambiati i tempi da quando si votava per decidere sull’aborto. Sono sempre un po’ confuso, perchè vorrei davvero cambiare l’Italia, e in più mi sento dentro una specie di gabbia. Ero convinto che il popolo italiano si fosse espresso per il divorzio molto molto tempo fa, ma il nostro matrimonio con questa politica stanca e senza stimoli non accenna a potersi incrinare. È tutto proprio come in quelle relazioni che si trascinano nella insulsa consuetudine in cui uno dei due coniugi impone all’altro tutte le peggiori dinamiche, minacciando un abbandono che per noi sarebbe solo una salvezza.
Mi chiedo come mai non ci sia nessuno che semplifichi davvero, qualcuno che scriva nella costituzione italiana un articolo che dica “le leggi dello stato non possono rimandare ad un’altra legge, devono essere autoconsistenti”, qualcuno che dica se Senato non deve essere Senato non sia, se questo o quell’ente non influenza nel bene la nostra vita di cittadini allora muoia. Perchè siamo obblligati a tenerci un coniuge che da cinquantanni ci tiene chiusi sempre di più nella povertà coltivando sempre di più i suoi interessi? È davvero così difficile trovare forme e persone attente maggiormente alla missione piuttosto che alla professione del governante? Qualcuno che non confonda costantemente la sacrosanta locuzione latina “Ora pro nobis” in “Dona pro nobis”? Se pensassero veramente alla loro missione potremmo pagarli pure di più.
Purtroppo deludere le persone a noi vicine è molto più facile e naturale del renderle orgogliose della loro vicinanza. E questo meccanismo avvampa nella reprocità.
Ad intervalli più o meno regolari, man mano che si sviluppa la mia timida esperienza in questo mondo fatto di post nello spazio virtuale dei blog, mi piace inserire qualche riflessione sulle sensazioni e sui pensieri che si sviluppano dentro di me su questo tema. E, a dire il vero, ogni tanto, mi piace anche scrivere degli articoli volutamente assai oscuri, per cui non sorprendetevi se questo post risulterà completamente incomprensibile.
Molto tempo fa, proprio agli albori della mia carriera blogamica, su un sito che ora seguo ancora anche se un po’ meno assiduamente, si celebrava uno di quegli eventi ben segnalati da WordPress quando si raggiungono i multipli centenari di follower. Ricordo bene che in un commento a quel post avevo cercato di esprimere un concetto che in quel momento mi sembrava riassumere l’estrema sintesi di quello che percepivo: ogni blog era un luogo dove gli avventori si raccoglievano e il padrone di quel blog era il fuoco sulla spiaggia intorno a cui tutti si radunavano. Più splendeva quel fuoco, più ricca era la folla di avventori.
A distanza di oltre un anno non mi sento di rivoluzionare quella percezione, anche se, come spesso accade nella vita, l’esperienza può mutare profondamente l’interpretazione che noi diamo di ciò che ci circonda. Oggi sono fermamente convinto che ogni blog abbia due facce: una evidente, comprensibile, aperta alla lettura di tutti coloro che vi si avvicinano, un’altra nascosta e profonda fatta di insignificanti briciole che il padrone di quel luogo lascia, anche involontariamente, dietro ogni post. Briciole per se stesso e per gli altri.
Ogni blog ha i suoi temi, il suo stile, le sue forme di comunicazione e di linguaggio. Ogni post ha il suo messaggio, la condivisione di un particolare stato d’animo o evento o pensiero. A volte espressi chiaramente, a volte celati da una storia apparentemente generalista ed impersonale.
Ma sotto traccia c’è spesso un percorso parallelo, quasi una sorta di metalinguaggio che scorre molto lentamente di articolo in articolo, di commento in commento, di storia in storia, di emozione in emozione, di sorriso in sorriso in un percorso che rivela qualcosa di più profondo di qualsiasi post.
Non tutti questi angoli virtuali hanno la stessa forza, la stessa abilità nel nascondere qualcosa nel metalinguaggio, nel tracciare la propria storia. Spesso, proprio dove lo sviluppo degli articoli è meglio definito e sistematico, lì l’originalità del meta percorso, il contributo dell’animo del singolo è meno presente e meno originale. E spesso, proprio dove è più vivido il fuoco che alimenta lo spazio virtuale, lì si finisce per perdere di vista l’altra luce profonda, quella che forse ha originato tutto, ma che con il tempo ha lasciato il passo a qualcos’altro.
Mi chiedo spesso perché, come lettore, preferisco questo mondo dei blog rispetto agli abbandonati ragni sociali come facebook e compagni. Un tempo pensavo che questo dipendesse più dai fuochi intensi di alcuni blogger. Oggi, a due anni circa da quando ho iniziato a sondare questo mondo, sono invece convinto che la mia passione deriva dalla percezione che in questo spazio si possano trovare indizi e piccole certezze sul fatto che con alcune persone, anche completamente sconosciute, si può condividere davvero tanto. E’ un sottile gioco di metalinguaggi e potenzialità, che non deriva la sua forza dal numero di follower, di commenti, di dichiarazioni di simpatia. Deriva tutto da qualcosa che accomuna in un filo sottile e impalpabile i pensieri e le emozioni di alcune persone.
Non vorrei sminuire il mio ruolo in questo universo, ma, in tutta onestà, non può che essere assai ininfluente. Tuttavia, quando come questa sera entro in un autogrill e sto per ordinare una semplice tagliata con rucola e aceto balsamico e la signora che mi deve servire, prima ancora che io apra bocca, mi guarda dritto negli occhi aprendosi in un sorriso quasi materno e mi dice lentamente, solennemente, con un tono che sembra uscire dal profondo di lei:
– Lei è uno di noi! – e strizza gli occhi per accentuare il suo sorriso
Non è una frase e un tono proprio dell’oste che accoglie il suo avventore. E, giuro, non ho la minima idea di cosa scorra nella sua mente, di cosa intenda con il mio appartenere a qualcosa. Era anche molto tempo che non mi fermavo in questo autogrill, ma, nonostante tutte queste negazioni, non riesco a non pensare di fare parte realmente di qualcosa che non capisco, ma sicuramente è molto vasto.
E l’aggettivo vasto è grezzo e immenso allo stesso tempo. È un aggettivo un pò magico. E allora mi fa piacere essere lì dove questa signora crede che io sia.
Qualche giorno fa ero fermo in autogrill. Motore spento. Dovevo ripartire, ma iniziavo a sentire il bisogno di riposare. La stanchezza era così forte che all’inizio non mi ero nemmeno accorto del tramonto che avevo davanti agli occhi. Dagli autogrill i tramonti hanno un fascino particolare. Non sono belli. Nemmeno un po’. Ma sono carichi di contrasti.
Da dove ero posizionato, seduto al posto di guida, vedevo distintamente tutti i tir che sfrecciavano in un senso e nell’altro. La luce del giorno iniziava ad essere assai debole, e ogni costruzione dell’uomo, stancamente assiepata vicino all’autostrada, assumeva l’essenza della sua malinconica tristezza. Dietro a tutto, oltre l’orizzonte, i colori erano spettacolari. Dal rosso intenso, quasi sanguigno, si saliva lentamente fino all’azzurro ceruleo, prima di tuffarsi sopra la mia testa nel blu notte.
Pensavo a tutto quello che ha costruito l’uomo, alla malinconia che alla lunga porta con sé. E pensavo che tutto sta fluendo su binari precostruiti … della ferrovia, dell’autostrada, del mondo web, poco importa. I solchi sono tracciati. Eppure anche proprio lì dov’ero, dove la regola è semplice, “stai parcheggiato e vai a prendere un caffé per ripartire”, c’era tutto l’Universo, sconfinato.
Riflettevo ad una cosa che avevo scritto recentemente da queste parti sul modo di dire latino “tabula rasa” e sul fatto che oggigiorno non ci sono più luoghi e modi per ripartire da zero senza condizionamenti. Stiamo perdendo progressivamente ogni controllo, dentro una dittatura che sta imparando con sempre maggior maestria a mascherare la coercizione sotto la forma di una apparente libertà. E mi chiedevo, come faremo quando ci accorgeremo che quello che facciamo è tutto guidato e controllato, cosa faremo quando ci saranno persone ricche che prolungheranno la loro vita sostituendo i loro organi andati a male attraverso dei perfetti cloni di loro stessi, cosa ci lasceremo fare quando gli scienziati saranno sostituiti nel loro lavoro da programmi informatici e supercalcolatori che instancabili produrranno scoperte con centinaia di anni di anticipo rispetto all’opera dell’uomo?
Il cielo azzurro del tramonto con le sue stelline luccicanti trasmigra nel blu notte con una eleganza mozzafiato.
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