Sincronicità, Vol.2

Risale a molto tempo fa il giorno in cui ho scritto un articolo sull’argomento da cui questo blog trae il suo nome. Ottanta articoli fa o giù di lì.
Quello che pensavamo e pensiamo non è molto importante. Il sottotitolo di questo sito sostiene che le coincidenze nella vita non esistono, esiste solo una sequenza di eventi sincronica in cui le nostre scelte e le nostre “energie” hanno un peso che non riusciremo mai a valutare esattamente.
Ma non saremmo sorpresi se non fosse affatto così, chi può dirlo. Semplicemente, tutto potrebbe accadere in maniera caotica e impredicibile, cosicché a tratti capiti che la fatalità si sposi con il nostro pensiero fino a creare il simulacro di una consequenzialità, di fatto assolutamente inesistente.
Non sappiamo se e quanto le nostre “energie” personali influenzino quello che ci accade o quanto le vite di alcuni di noi siano reciprocamente legate a quelle di altri, pur non essendo in connessione fisica apparente.
Quel che conta nella vita è il percorso che essa segue, conta molto più delle ragioni che portano alle sue svolte e ai segnali che la rendono originale. E più ancora del percorso del singolo di noi, è importante il percorso dell’Umanità nel suo complesso.
Non sono mai stato bravo né in storia, né in geografia. La filosofia mi affascina, ma mi sono sempre voluto lasciare lo spazio per idee tutte mie. Anche la religione, nella mia percezione e nella mia anima, è una sorta di punto di arrivo, necessariamente ancora molto lontano da come l’uomo l’ha interpretata fino ad oggi.
Quel che è certo è che intorno a noi ci sono segnali imponenti che mi portano a pensare che il percorso dell’Umanità è fuori controllo, o, forse solo, è sotto il controllo di entità completamente fuori controllo. Credo che questi segnali siano sotto gli occhi di tutti, ma sia estremamente più facile socchiudere le palpebre e fare finta che questa nostra confusione sia solo l’effetto di un abbaglio.
Per i titoli ci sarebbe solo l’imbarazzo della scelta: guerre ignorate, terrorismo efferato, ricerca genetica che apre le porte a scenari futuribili non lontani di uomini che clonano pezzi di se stessi per perseguire una falsa vita eterna, computer sempre più intelligenti che finiranno per fare le scoperte al posto dei nostri scienziati (facendoci progredire verso dove?), uomini e donne intenti a far scorrere un dito indice su una superficie levigata, schiavi di uno schermo nei vagoni dei metrò, confezioni di beni in vendita così smisurate da poter ospitare al loro interno centinaia di volte il loro contenuto (altrimenti come riempiremmo le nostre discariche?), banche che falliscono e giovani che non lavorano, vecchi che invecchiano in pensione da decenni, un unico luogo virtuale dove cercare ciò che esiste (e se non sei in una ricerca Google ormai non esisti), un mondo che non conosce più pausa, né riflessione e nemmeno valori realmente diversi dall’affiancare un nuovo istante a quello precedente in una corsa folle verso il nulla. E tutto ciò portandoci appresso un bagaglio genetico non certo molto più veloce di quello dei nostri antenati dell’Antica Roma o della Mesopotamia … Si corre, ci fanno correre, vogliamo correre per non fermarci a capire. Basterebbero pochi di noi per produrre una lista dei mali e dei pericoli senza precedenti che minacciano il futuro. Una lista così lunga e terrificante da annullare gli impagabili benefici che il progresso dell’Uomo ha portato agli abitanti di questo pianeta.
In tutte queste mie riflessioni, per lo più noiose e senza senso, la sincronicità rimane un segnale, uno dei segnali di speranza perché l’uomo ha dentro di sé quel che serve per vincere le sfide del futuro. Deve solo prendere coscienza che non tutto viaggia per effetto del caos, non tutto è guidato dalle multinazionali, dai nostri ciechi bisogni, dalla nostra umana attenzione all’io che c’è in noi e non tutto si fermerà con la nostra vita e con i nostri traguardi necessariamente finiti. C’è qualcosa di più per l’Umanità da raggiungere e vincere (e non parlo solo di qualcosa di ultraterreno). Qualcosa più in là della nostra esistenza. E per arrivarci dobbiamo credere in noi, nella lenta comprensione dei meccanismi che ci stanno portando fuori asse con la nostra vita e dobbiamo credere nella nostra capacità di poter essere uniti oltre quelli che crediamo essere i nostri limiti e le nostre inutili divisioni.

Ho scritto questo articolo, il novantanovesimo di questo blog, alcune settimane fa. Da allora, mi è capitato di rileggerlo un paio di volte e ogni volta ho pensato: “prima di pubblicarlo ci devo aggiungere una frase finale, perché altrimenti non si capisce cosa voglio dire con questo articolo”. Oggi l’ho riletto per inserire l’ultima frase, una frase chiarificatrice. Ma oggi sono convinto di una cosa differente.
E’ importante la chiarezza? Qualcuno di noi ha veramente qualche cosa di significativo da trasmettere? Qualcosa che per un’altra persona possa superare in efficacia un suo nuovo pensiero, un desiderio conquistato, una estatica contemplazione di una luna piena dalle pendici di un molo della spiaggia o la soddisfazione per aver raggiunto l’intesa con qualcun altro senza il bisogno di comunicare niente?
Ecco, la mia ultima frase di oggi è un nonsense inventato: “… Perfundite vobis! …”.

Cupidigia

Guardavo dall’alto, ammirato, la perfezione della mia opera.
Laura e Francesco camminavano lentamente, una in fianco all’altro, lasciando le loro anche libere di urtarsi dolcemente facendoli rimbalzare in un giocoso ondeggiare. Avevano percorso in lungo una delle piazze di Monza, senza abbracciarsi e senza tenersi mai per mano, ma i loro corpi procedevano così vicini che sembravano quasi blandamente magnetizzati. Avevano raggiunto uno dei bar della piazza con i tavolini fuori e si erano seduti per un aperitivo. Laura aveva l’aspetto di chi non era minimamente interessata all’arrivo del cameriere per fare il suo ordine. Il suo viso di carnagione chiara sembrava quasi riverberare mentre teneva gli occhi trasognati puntati sul suo Francesco. E Francesco la ricambiava. Busto eretto, leggermente proteso verso di lei, e un sorriso sornione con cui si gustava gli occhi luminosi e intensi davanti a lui. Mentre la guardava ripensava alla splendida serata di sesso che avevano appena trascorso. Era stata molto più che piacevole. Lenta, coinvolgente e carica di un mix straordinario di tenerezza, complicità, dolce violenza e anche di un pizzico di divertente comicità. Ripensava alla loro serata, fissava Laura, ma non riusciva a non pensare a Teresa. Non la sentiva più da tre giorni. Né un messaggio, né un post su Facebook a cui replicare subito per tenere vivo il suo interesse, nemmeno una segnale telegrafico alla sua chiamata senza risposta della mattina precedente. Teresa era splendida. Carnagione scura e curve morbide, meno armonia e modi gentili di Laura, ma il sottile mistero di chi misura con cura il suo coinvolgimento. Una serata come quella di ieri, con lei, non sarebbe potuta esserci, ma una serata diversa sì.
In quel momento Teresa era molto vicina, stava camminando frettolosamente in una delle strade che portavano alla stessa piazza, ma, a dire il vero, stava anche per svoltare per raggiungere il negozio di telefonini un paio di quartieri più in là. Andava di solito in quel negozio ogni volta in cui sentiva il bisogno di cambiare cover al suo iphone. Procedeva spedita, con gli occhi piccoli e stretti un po’ accigliati, perché aveva dimenticato di prendere gli occhiali da sole prima di uscire di casa. Pensava a Francesco, che l’aveva contattata il giorno prima. Non aveva risposto, non era proprio dello spirito buono. Francesco, era un bravo ragazzo, un ottimo partito, simpatico e belloccio e ci teneva a tenerselo buono perché non si sa mai nella vita. Ma erano due giorni che aveva la testa da un’altra parte. Da quando Stefano, tre giorni prima, improvvisamente se ne era andato con una scusa, dopo che si erano concessi di tutto. Si erano visti anche i giorni dopo, apparentemente nulla era successo, ma da quella sera aveva una sensazione strana e lei, quando aveva sensazioni strane, ci prendeva sempre. Stefano non era uno qualunque, uno da lasciarsi scappare senza mettere in atto piani b, c, d ed f. Aveva bisogno di stare tranquilla e pensare a come muoversi.
Mentre stava per imboccare la strada del negozio, voi non ci crederete perché era certamente il tipo di evento che normalmente Teresa avrebbe percepito in anticipo, non si accorse che stava arrivando in auto a poche decine di metri da lei, esattamente in quel preciso momento, proprio Stefano. Aveva parcheggiato la sua Porsche, senza far troppo rumore, al posto riservato agli invalidi davanti al suo bar preferito, tanto sarebbe potuto restare solo un minuto. Era entrato di fretta e aveva ordinato a Mariana, con un grande sorriso, il suo solito cappuccino. Mariana era la ragazza romena dai modi dolci e incantevoli che serviva nel locale. Aveva un modo tutto suo, flessuoso e spontaneo di muoversi e di muovere quello che sfiorava. La sua voce era così melodiosa che il suo accento non risultava mai coriaceo, era semmai esotico, per nulla scontato, carico di una sensualità naturale. A Stefano era capitato frequentemente di entrare nel locale e di averla vista servire i clienti intonando continui motivi musicali sempre vari e ammalianti. E spesso si fermava anche a parlare con lei, e lì scattava veramente qualcosa, perché Mariana aveva un volto semplice, senza trucco, dolcemente punteggiato di lentiggini che esaltavano i suoi lineamenti perfetti. Mentre parlava con qualcuno, Stefano incluso, lei si inseriva in una modalità comunicativa spontanea e sorridente che avrebbe reso piacevole parlare del tempo anche per chi si era appena inzuppato dentro ad un temporale.
Mentre beveva il suo cappuccino, quel giorno ahimè troppo di fretta, Stefano osservava Mariana e gli altri avventori. Stefano era certo che diversi di loro venivano lì, come lui, per Mariana. Lei invece quel giorno osservava di nascosto Iuri, che se ne stava mogio e defilato seduto ad un tavolino sorseggiando un’acqua minerale. Non veniva spesso. Era originario del suo stesso paese e ogni tanto le era capitato di chiacchierare per ore con lui dei loro luoghi, dei momenti spensierati della loro adolescenza, ma, secondo lei, tutti e due erano troppo timidi per condividere l’uno con l’altra tutto quello che si portavano dentro per la loro emigrazione.
Iuri guardava il vetro del bicchiere che faceva riverberare un riflesso della luce che arrivava da fuori. Pensava a Laura. Lei era l’unica ragazza italiana che lo trattasse con dolcezza e l’avesse fatto sempre sentire semplicemente un ragazzo e non un ragazzo romeno come tutte le altre. Quando pensava a lei sentiva crescere dentro un gran desiderio di icontrarla ancora. Succedeva sempre per caso ultimamente. Da quando avevano terminato l’università non capitava spesso, ma sempre lei lo accoglieva con un sorriso, un abbraccio sincero e qualche veloce parola carica di attenzioni e serenità. Scostò un po’ il bicchiere, il riflesso si fece più intenso ferendogli gli occhi, che mantenne comunque ben spalancati sperando di ricevere un’illuminazione sulla domanda che aveva scolpita nella mente: “Dove sarà adesso Laura?”.
Vedevo tutto distintamente, quello che avevo davanti era un capolavoro di incastri perfetti. Per niente facile da creare, ve lo garantisco, anche se al giorno d’oggi è più facile di un tempo. Ero stato davvero bravo.
Ma dovevo rimettere mano un po’ a tutto. Il giorno prima ero stato richiamato ai piani alti, ed ero stato redarguito. Il mio operato qui, pare lasciasse a desiderare. Poche coppie durature, poche certezze, molta grande confusione. E allora quel giorno avevo dovuto cambiare faretra. E le frecce che stavo per scoccare avrebbero cambiato la vita di molti di loro. Perché, quando arrivano dei figli, sembra un caso, ma le vite possono cambiare.

Stai al tuo posto

Me ne ero accorto subito. Eppure sapeva bene quanto ci tenessi ai miei attrezzi. Sapeva anche che le volevo bene, certo, e forse per questo aveva creduto di poter fare tutto ciò che desiderava con le mie cose senza chiedere il permesso. Ma si sbagliava. Eravamo sposati già da alcuni anni, quando quel giorno aveva prelevato un po’ di tutto dal mio capanno: cacciaviti, chiavi inglesi, scalpelli e martelli. Per fare cosa poi non so. Prima che arrivassi a casa aveva già riposto tutto. Malamente, alla rinfusa, senza nessun ordine. Quella fu la prima volta che la picchiai e, devo dir la verità, fu davvero facile. Alla fine avevo perso quasi completamente la sensibilità alla mano destra, il palmo mi friggeva, ma ero certo che non avrebbe mai più sfiorato la mia ferramenta senza il mio permesso.
Avevo ragione! Da allora non l’aveva più toccata. E così oggi sono certo che presto finirà anche di lasciare, ogni dannato giorno, le sue chiavi di casa sparse sul mobile in ingresso. Perché, appena rientrerà in casa dall’orto, oggi saremo certi che sarà stato l’ultimo giorno in cui le avrò lasciato fare liberamente anche questo.

Condivisa fragilità

Il dodici per cento di loro viveva sereno amando, pienamente ricambiato, il proprio compagno, il diciassette per cento viveva tranquillamente “alla giornata” senza preoccuparsi molto delle emozioni che avrebbe sperimentato giorno dopo giorno, il trentadue per cento di loro vagava costantemente in cerca del compagno ideale con cui trascorrere il resto della vita, il trentanove per cento, invece, teneva continuamente sotto scacco affettivo il proprio partner per mantenerne con innocente sicurezza il controllo.

Tuttavia, quando l’ordigno inesploso smise di essere tale, il cento per cento di loro ne ebbe la vita sconvolta.

L’abat jour

AbatJour

Lei era come una abat jour, la mia personale abat jour. Ogni volta, come ad esempio accadde in quei lunghi mesi, quando decideva di spegnersi, tutto il mondo intorno a me assumeva il sapore dell’impenetrabile notte.

Così, mentre brancolavo nel buio, finii per incocciare il mio alluce sulla gamba dello scrittoio e  allora fu facile decidere di lasciarla andare.

NovantaQuattro

Qualche tempo fa mi ero ripromesso di arrivare a scrivere entro fine luglio cento articoli. Mi piace celebrare certi piccoli eventi della vita accompagnandoli, se possibile, con dei numeri tondi. Quando mi ero fatto questa promessa il traguardo sembrava facilmente raggiungibile. Il 7 di luglio a 7 articoli dall’arrivo, invece, devo confessare, l’arrivare al risultato mi sembra più una insignificante utopia che una possibilità reale.

È vero che ho già scritto l’articolo novantanove. Ma una volta pubblicato questo post me ne rimarranno comunque altri cinque da fare. E se voi pensate che io abbia altre cinque cose intelligenti o simpatiche o dolorose ma coinvolgenti da dire da qui a fine luglio, beh, vi sbagliate di grosso. 🙂

Un’amica qualche tempo fa mi diceva: “Scrivi solo cose tristi sul blog. Dovresti smettere.”
Un’altra amica qualche settimana fa mi ha detto: “La gente è stanchissima e non ha tempo. Ormai su facebook e sui blog vanno solo le cose che fanno ridere. Le persone hanno bisogno di distrarsi e di divertirsi.” E ha continuato leggendomi un post divertente e famoso di una ragazza che dialoga in inglese maccheronico con Jonny Depp reo di aver disilluso troppe fan con le sue ultime impresentabili apparizioni.
Un’altra amica ancora, parecchi mesi fa, mi ha detto, con un tono quasi di sufficienza: “Il 95% di chi scrive e legge i blog sta cercando un compagno.” Non so se io abbia mai fatto pensare il contrario ( e se fosse non sarebbe nemmeno grave) ma io credo di appartenere decisamente al 5%. E credo anche che il rapporto tra cacciatori e  semplici passeggiatori di questi spazi virtuali presenti percentuali del tutto differenti. Di certo comunque, ne sono stra convinto, entrare in contatto con i pensieri di altre persone è una esperienza sempre drammaticamente affascinante.
Un’altro amico invece, non molto tempo fa, mi ha detto: “Non scrivi più un cazzo sul blog! Quand’è che andiamo a berci una birra?”. La semplicità del pensiero maschile è così simile alla semplicità della maggior parte delle soluzioni, che credo sia il vero motivo per cui abbia senso che esistiamo noi maschi a questo mondo.

Gli amici hanno sempre tutti un loro livello di saggezza. E tutte le cose che mi hanno detto sono un po’ vere. E io ho una mia teoria.
Qualche tempo fa ha inserito un commento ad un mio post TADS, blogger da 13 anni. Un nonno rispetto a me, poco più che lattante. Il commento era molto interessante. Parlava dei blog come puri e semplici bisogni di condividere le proprie “pene”, ha raccontato un caso di una blogger 75enne , e ha dato un giudizio sul ruolo dei commenti come comunicazione spontanea “di pancia”. Anche nelle sue parole molta saggezza. E, mia personale sensazione, anche un po’ di sua stanchezza.

La mia teoria è semplice. Questo mondo dei blog, come tutto nell’esistenza dell’uomo, evolve. E, come tutto ciò che ha a che fare con i mondi virtuali, evolve sempre più velocemente. Ho la sensazione che il mondo virtuale dei blog, che alcuni danno per spacciato, stia solo cambiando repentinamente e la fase di “stanchezza” che esso vive è un passaggio. Non credo che il mio anno e mezzo di frequentazione possa essere la causa del motivo per cui vi sia una disaffezione progressiva e una riduzione dello splendore di questi siti sempre molto originali.
Se devo associare un aggettivo al leggere e scrivere sui blog, l’unico che mi viene in mente è “frizzante”. Un misto tra emozionante, piacevole, sorprendente e libero. Quando usavo le piattaforme social l’aggettivo che mi veniva alla mente più di frequente per descrivere l’interazione di quei mondi era “estemporanea”.
Tutto viaggia di pari passo con i tempi. Oggi la gente non ha più tempo. Per leggere, per interagire, per divertirsi lentamente, per impegnarsi, per giocare con intelligenza, per capire, per capire cosa sta facendo, per razionalizzare cosa dovrebbe emozionalmente fare. E vince il puro social.
Ma i blog, che sono l’espressione di singoli io (e di loro proprietà non come le piattaforme social), evolveranno per aggirare questo ostacolo in qualche maniera.

Anche questo articolo che ho scritto, il novantaquattresimo, è già troppo lungo per poter essere affrontato come lettura dalla metà dei blogger wordpress.
Tuttavia sono un passetto più vicino a 100.

 

 

La ricerca del valore

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La bellezza una volta acquisita diventa scontata e, si sa, le cose preziose ma scontate perdono presto il loro fascino. E così ci si rivolge altrove, finendo spesso per cercare ottusamente il valore dove esso manca.
Dietro a questa catena senza fine di dinamiche sempre uguali si nasconde la rinuncia volontaria, quasi la negazione di ogni possibile appagata e duratura scoperta del bello vicino a noi. Lo si abbandona presto per perseguire l’emozione di una continua insaziabile ricerca senza speranza.
Uno dei tratti umani più diffusi nel mondo di oggi.