L’uccello non ha occhi

Immagine_al_nano_microscopio_Willstar

Quella che stavo correggendo era la stesura per la pubblicazione finale del tredicesimo articolo in sei mesi. Il quinto che curavo per la rivista scientifica Nature. La mia scoperta andava decisamente di moda.
Mentre leggevo quello che avevo scritto, una certa noia si faceva avanti. Il tema era sempre affascinante, ricco di infiniti risvolti, ma il lento e macchinoso rigore della terminologia tecnica metteva invariabilmente in ombra la poesia del vaso di Pandora che avevamo scoperchiato.

Mi scostai un attimo dalla scrivania e ruotai con tutta la poltrona in direzione della finestra. La città brulicava in un fervore noncurante delle implicazioni della mia scoperta. Tutti erano intenti nei loro affari e le persone erano assiepate intorno alle bancarelle del mercato quasi per riscaldarsi vicendevolmente, mentre i primi leggeri fiocchi di neve si sparpagliavano timidi verso il suolo. Era una giornata fredda, molto fredda per la stagione ancora autunnale e il cielo lattiginoso e uniforme sembrava scendere sempre più in basso quasi volesse deporre con maggior attenzione la coltre bianca che i telegiornali preannunciavano da giorni.

Pensavo alla gente. Alla mia scoperta. Alle regole semplici su cui si basa il funzionamento del mondo. E sorridevo al pensiero di come la saggezza popolare avesse da sempre i detti buoni per spiegare l’essenza di tutto. Mi sarebbe piaciuto riempire i miei articoli scientifici di quei detti. Me ne venne in mente uno di quelli che si dicevano da ragazzi: “L’oseo non gà oci “. Non avrei nemmeno avuto il coraggio di tradurlo in un articolo, però, invece di parlare della dimensione in nanometri di questa o di quell’altra catena chimica legata alla mia scoperta, mi sarei sentito molto più bene a divagare sul perché la saggezza popolare, a volte, carpisce le verità molto prima della scienza.

La mente tornò indietro ad otto mesi prima. L’azienda farmaceutica per cui lavoravo come consulente aveva appena acquisito l’ultima meraviglia della tecnologia: il nanomicroscopio Willstar. Un investimento imponente che, nell’idea dell’amministratore delegato della società, doveva servire a rilanciare l’azienda, ormai in difficoltà, nella produzione di farmaci davvero innovativi. Il nanomicroscopio Willstar era comparso sul mercato solo un’anno e mezzo prima, fondeva in un unico oggetto costruito secondo l’uso delle più moderne nanotecnologie la potenza di un microscopio elettronico con la possibilità di farlo muovere liberamente all’interno del corpo umano in virtù delle sue dimensioni molecolari. Poteva esplorare ogni angolo dell’essere vivente fino ad arrivare dove nessun uomo era mai giunto prima. E da lì inviava le sue scansioni del micromondo dentro di noi. Era un po’ come vivere l’emozione di essere dentro il film Viaggio Allucinante, ahimè senza Rachel Welch vicino, ma con immagini tutte vere.

Il mondo scientifico si era gettato a capofitto nel suo utilizzo.  Il sogno di tutti era debellare finalmente la piaga del cancro. E infatti in pochi mesi i progressi nel settore oncologico erano stati portentosi. Ma, a quanto pare, nessuno scienziato era annoiato come me. Ricordo ancora bene la sera in cui facevo il mio turno all’uso del microscopio. Avrei dovuto seguire il rigido protocollo dell’azienda previsto dalla sperimentazione e invece guidai l’apparato microelettronico a zonzo a caso, dentro le cellule, quasi fosse un motoscafo perso nel Mare della Tranquillità.

Era stato un po’ come pilotare un ago in un pagliaio. Sequenze interminabili di tessuti, catene di aminoacidi diverse e per niente dissimili l’una dall’altra, strane forme di materia organica, che non sarei nemmeno riuscito a catalogare. E poi arrivai lì. Dentro il nucleolo di una cellula. E lo vidi. Stavo quasi per ripartire e tornare ad errare in giro. Poi capii.

Dentro a quella cellula, dentro ad ogni cellula del corpo umano, c’era una piccola struttura submicroscopica inconfondibile. Un minuscolo cervello. Organizzato come un cervello, molto molto simile, anche nelle sembianze, con il fratello maggiore dentro al nostro cranio.

Lì per lì mi era sembrata una cosa curiosa, buona per qualche frase d’effetto e qualche chiacchiera da bar, invero quasi insignificante. Ma poi tutto si manifestò piu chiaramente. Ogni cellula in ogni suo nucleolo aveva un “cervello” in miniatura e da lì partivano catene di molecole composite e infinitesime scariche elettriche che, in continuazione, andavano e venivano verso i piccoli “cervelli” delle cellule vicine.

Per due giorni di fila non ero riuscito a dormire. Troppo eccitato e troppo sconvolto per non rimanere lì con il mio motoscafo a sondare la nuova verità che,  per caso e noia, avevo portato a galla. Ogni cellula “pensa” e “dialoga” con le compagne intorno a lei.

In due giorni di veglia avevo scoperto il novanta per cento di tutto quello che oggi so, nove mesi dopo.

Lo riversai nel primo articolo scientifico, che, a dire il vero, all’inizio passò quasi inosservato. Fino a quando si fece vivo Mark Venture, uno scienziato australiano a cui devo gran parte della mia fama. Aveva arricchito la mia scoperta con una serie di importanti dettagli e in tutti i suoi articoli inseriva sempre, in testa, lunghi panegirici per celebrare la genialità delle mie scoperte.  Così efficaci che, leggendo i suoi testi, sembrava fossero opere mie anche le sue straordinarie osservazioni.

Gli devo molto. Non l’ho ancora conosciuto. Ma mi è così simpatico che mi piacerebbe incontrarlo davanti ad una birra. Così poi potrebbe finalmente iniziare il suo prossimo articolo con una frase molto più adatta a me come: “Grazie al fortunoso cazzeggio del mio amico Tony Furlan, un cazzone di prima categoria, finalmente sappiamo da qualche mese a questa parte che ogni cellula pensa, parla con le altre cellule e con il cervello centrale, si agita, vuole cose, ….”.

Mark ha scoperto che ogni cellula, oltre a parlare con le sue vicine, dialoga con il nostro cervello. Già. Proprio così. Ogni istante, miliardi di cellule inviano impulsi elettrici, una specie di sms del corpo, e spediscono catene molecolari codificate, delle specie di e-mail del corpo, e attendono le risposte.

E il cervello risponde ad ognuna di loro. Continuamente. Un gran casino!

Grazie all’opera di Mark e con l’impegno dei ricercatori che ora lavorano nel mio staff abbiamo iniziato ad interpretare il linguaggio delle cellule. Sono vere frasi. Periodi con soggetti, predicati, complementi oggetto e tutto quello che serve per far comunicare due cervelli autocoscienti. Le cellule, tra di loro, usano una specie di dialetto differente tra zona e zona del corpo umano. Qualcosa del tipo, il piede destro parla in veneto, il ginocchio in lumbard, l’ombelico in romanesco. Cose così. Invece, quando parlano con il cervello, usano tutte le stesse regole grammaticali e semantiche.

Ora che ho raggiunto la fama, i miei collaboratori lavorano, io scrivo articoli, cazzeggio, guardo fuori dalla finestra, penso a questa cosa del cervello che deve rispondere a miliardi di altri cervelli. Teste calde. Fannulloni. Sputasentenze. Scontenti. Entusiasti. Ansiosi. Sofferenti. Tutti legati tra loro solo dall’esigenza primaria di sopravvivere e clonarsi.

Il resto, la nostra mente, i nostri pensieri, i nostri progetti sono solo un’invenzione buffa della Natura. Un cervello grande per governarli tutti. Un cervello grande per mettere d’accordo tutte le miriadi di cervelli piccoli per evitare che disgreghino l’individuo. Credo sia stata la cosa più democristiana, forse l’unica cosa democristiana che la Natura abbia mai inventato in tutta la sua evoluzione.

L’articolo che sto scrivendo parla di emozioni, senza citarle. Leggendo l’articolo non si capisce cosa c’è dietro. Mi obbligano a parlare di questa o quell’altra sequenza di molecole che dalle cellule vengono inviate al cervello. Di quella lunga solo 5 Angstrom, di quell’altra stirata su un micrometro e quando succede questo allora scattano i fenomeni psichici.
La verità è molto più semplice. Basta che mezzo miliardo di cellule mandino al centro cerebrale lo stesso identico messaggio nello stesso momento e il nostro cervello va in pappe, si scatenano le emozioni e i ragionamenti non servono più a nulla. Diventiamo agglomerati di cellule che  tirano da una parte all’altra come cavalli. Un cervello grande fa grandi ragionamenti. Miliardi di piccolissimi cervelli fanno il tumulto esistenziale.

Chiusi gli occhi.
Ora che sapevo che esistevano, ora che li avevo visti scorrere nelle immagini colorate e fascinose del microscopio Willstar, mi pareva di sentirli tutti, mi pareva di averli sempre sentiti questi continui flussi informativi dal corpo al cervello e di nuovo al corpo e di nuovo al cervello che disperatamente soccombe sempre al tumulto delle emozioni. Il desiderio, l’amore, la rabbia, la felicità, la stanchezza, la noia. Flussi turbinosi di messaggi non più gestibili che la nostra mente può solo assecondare sotto forma di bisogni irrefrenabili della nostra anima. Il nostro io più profondo e atavico. Miliardi e miliardi di cellule, unite per il bene comune, portatrici dei bisogni più veri del loro esistere unicellulare.
Aprii gli occhi.

La neve ora cadeva fitta.

6 thoughts on “L’uccello non ha occhi

  1. Fik 19 Novembre 2015 / 8:24

    Argh…. titolo che depista! E io che già mi pregustavo un bel epiteto per lo scrittore ?
    Mi piace il racconto, per me è una metafora dello stato, e guardacaso hai citato la balena bianca.
    Ma il nome del protagonista ….. è un tributo? ?

    Bravo Pj!

    • pjperissinotto 19 Novembre 2015 / 8:46

      Mi pice “titolo che depista”. 😀
      Eh eh eh i nomi qua e là e alcuni passaggi sono evocativi del passato 😉 dei tributi, potremmo dire.

  2. La il@ 19 Novembre 2015 / 9:44

    ..quanta vita abbiamo in noi! E’ proprio vero, dobbiamo ascoltarci di più, ascoltare i segnali che il nostro corpo ci invia, prenderne contatto e amarlo. Mi piace motlo questo tuo post.

    • pjperissinotto 19 Novembre 2015 / 10:09

      Proprio così, cara La Il@, ascoltarsi è importante. Molto importante.
      Grazie mille per il graditissimo apprezzamento:-)

      • La il@ 19 Novembre 2015 / 10:55

        ..e non che non abbia capito e apprezzato la tua scoperta sulle emozioni.. “si scatenano le emozioni e i ragionamenti non servono più a nulla. […] Miliardi di piccolissimi cervelli fanno il tumulto esistenziale.” Bellissimo :)))

      • pjperissinotto 19 Novembre 2015 / 11:03

        :-)))) Lo confesso, piace molto anche a me.
        E mi fa davvero un gran piacere che tu abbia colto e apprezzato. 🙂

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