La nonna di Lucia

Sono comodamente stesa a letto, coccolata. Leggo sul mio e-reader un racconto di questo autore sconosciuto, un racconto che si intitola con il mio nome, Lucia. Il brano non è niente di ché, ma qualcosa mi sorprende mentre procedo con la lettura. Sorrido. Il racconto si sviluppa con una trama molto simile ad un passaggio della mia vita, come se l’autore avesse saputo trent’anni fa quello che sarebbe accaduto. Ma non tutto è andato come nel racconto che sto leggendo. E no, caro Pj! Non è successo tutto come pensavi sarebbe accaduto. Quella sera, quando sono andata a trovare Paolo, sì, lui mi aveva parlato del negozio in cui aveva acquistato le sue Samanthe e, all’inizio, mi ero indignata e rattristata. Ma due giorni dopo, in quel negozio, ci sono entrata.
Mentre leggo le ultime righe, arrossisco ancora ripensando all’imbarazzo di quel giorno. Sono passati due anni e arrossisco ancora. Entrata nel negozio inizio a chiacchierare con questo commesso davvero gentile e bello da paura. Italiano perfetto con un accento indecifrabile dalle sfumature vagamente anglosassoni, voce davvero profonda che mi faceva rabbrividire. Il nome Jeff gli calzava come un guanto e, mentre mi fissava dall’alto, con uno sguardo intelligente e carico di interesse, mi aveva portato nello spazio di cinque minuti a parlare dal clima terso di quella giornata all’ultima canzone del gruppo del momento, passando attraverso l’importanza della mostra impressionista che si sarebbe aperta in città il mese successivo. Si era creata una specie di magia tra i nostri sguardi, interrotta dall’ingresso dalla porta sul retro del negozio del vero commesso. Un tipo tarchiato e brufoloso, con dei baffi disordinati che sembravano confondere e sporcare la sua parlata. Quando mi aveva raccontato trionfante che Jeff era uno dei loro due nuovi modelli maschili, mi ero sentita scoppiare, rossa in volto come se tutto il mio sangue si fosse addensato sul viso per uscire allo scoperto attraverso la pelle. Quel pomeriggio Jeff venne a casa con me e, una settimana dopo, andammo assieme a prendere anche John.
Finisco il racconto. L’e-reader mi propone il prossimo pezzo della raccolta, “La nonna di Lucia”, sono quasi tentata di andare avanti, ma sono un po’ stanca e, continuando a sorridere, decido di rimandare la lettura ad un giorno successivo. Mi allungo per riporre il lettore sul comodino e devo tendermi al massimo perché Jeff, in basso, continua a tenere ferme le mie gambe mentre sfiora la mia pelle con le sue labbra carnose. Tutta la lettura della sera era stata accompagnata dalle sue carezze morbide, dai suoi soffi sapienti, dalla sua passione per il mio corpo. John invece era stato silenzioso, steso al mio fianco, come un boa intento a misurarmi, e aveva fatto passeggiare le sue dita lungo il mio ventre, salendo a tratti verso il collo e indugiando talora su seni e capezzoli, quasi per farli arrabbiare.
Jeff e John sanno tutto di me. Ad ogni nostro incontro hanno imparato a capire le mie reazioni, i miei desideri, le mie emozioni e le assecondano ogni giorno con sempre maggiore maestria. Lasciato l’e-reader sono indifesa. Chiudo gli occhi e mi abbandono serena alle loro cure. Percepisco le loro carezze e il loro profumo intenso e piacevole. Jeff e John profumano sempre, ma, nei nostri incontri, il loro aroma si carica ulteriormente di una accesa nota sensuale che crea quasi dipendenza. Conoscono alla perfezione le mie zone erogene e trovano modi sempre diversi e sempre più efficaci per combinarle assieme. Hanno questa capacità innata di apprendere e far evolvere il loro comportamento e, con scientifica precisione, agiscono per massimizzare le mie emozioni. E’ impossibile non dimenticarsi completamente del fatto che in fondo loro sono solo dei robot, nella stessa misura in cui è vano resistere ai loro modi coinvolgenti. Questa sera hanno scelto i ritmi lenti. Si attardano ad ispezionare i lembi della mia pelle e trasformano la mia stanchezza in graduali ondate di energia.
Lì, mentre armeggiano con il mio corpo, i miei occhi chiusi, sono assalita da uno stato emozionale in cui le percezioni sensoriali si mischiano ai ricordi.
John mi stringe per un attimo un po’ più forte l’avambraccio sinistro, quasi per errore, e sono tuffata nella serata di qualche settimana prima. Facendo le pulizie, avevamo trovato in un cassetto una corda dimenticata, e involontariamente avevo sorriso a John. Mi avevano legata stretta, fermamente ma con dolcezza, prima le braccia e poi i piedi. Immobilizzata, alla loro mercé, straordinariamente serena e rassegnata a subire le loro penetranti angherie, ero sull’orlo di un incendio adrenalinico che solo una abbondante dose di endorfine ed estrogeni avrebbe poi potuto acquietare.
Jeff ora risale leggero lungo il mio bacino, le anche e il busto, mi sfiora in più punti. E’ un’omone, ma è come se il suo corpo abbia la densità delle piume. Ho gli occhi ancora chiusi, preme con morbidezza le sue labbra carnose sulle mie e sposta il viso di lato, mi soffia nell’orecchio una frase semplice con il tono profondo della sua voce. “Ti ricordi le stelle di quella sera? Ti porto là.”
E subito vengo immersa nel ricordo di una nottata stellata dell’estate prima, al mare. Io, John e Jeff, persi come bambini a guardare il firmamento, loro che mi raccontano storie sui sistemi solari, complesse nozioni scientifiche sui più immaginifici eventi del cosmo rese semplici dalle loro parole. Discussioni accese sulla certezza di altre vite simili alle nostre in quegli anfratti dell’universo. Simili alle nostre … E sopra di noi quella cappa così immensa di puntini luminosi, il cielo limpido che avvicinava tutto come si potesse toccare, una brezza leggera, calda e tonificante sui nostri volti e una lunga notte passata con il naso all’insù a chiacchierare senza sosta e senza l’ombra di una preoccupazione per ore e ore.
Ora lo sento entrare senza fatica, dolce e furtivo, e in breve attiva il suo pulsare erotico dapprima lento e poi sempre più veemente.
Esattamente come quella volta in cui, per un impulso nato in qualche angolo nascosto della mia psiche, prima di andare a lavoro, lo avevo inserito nella modalità “sesso violento”. Ci ripenso e mi prende nuovamente il batticuore. Lo stesso batticuore interminabile che mi aveva assalito prima di aprire, al mio rientro, l’uscio di casa, l’ansia eccitata di immaginare senza sapere quello che sarebbe accaduto una volta aperta la porta. Avevo messo i piedi dentro casa, titubante e incerta. Ascoltavo ogni rumore. Sentivo lontano John, in salotto, passare l’aspirapolvere canticchiando un motivetto, sembrava l’unica attività importante della villa, ma io sapevo che non era così. A piccoli passi con il cuore in gola mi ero avviata verso la cucina, avevo riposto la borsa,  circospetta, pronta a scattare per difendermi, e invece non stava succedendo nulla. La cucina era vuota. Avevo seguito il corridoio verso la zona notte della casa e anche lì tutto era in ordine e apparentemente libero da minacce. Iniziavo a pensare che forse Jeff non era in casa in quel momento. Insolito, ma non impossibile. Avevo sentito per un attimo scendere la tensione, mi ero tolta il golfino leggero che indossavo, e, ripercorrendo il corridoio all’indietro, iniziavo a rilassarmi. Era successo proprio in quel momento. Mi aveva preso da dietro con un’energia del tutto inaspettata facendomi trasalire. Dalla mia bocca era uscito un gemito sordo, strozzato, che la sua mano larga aveva coperto subito fino a farlo scomparire. Mi aveva tratto a sé comprimendomi forte sul suo bacino facendomi sentire tutte le sue forme.
Mi aveva voltato senza sforzo, con la stessa fatica con cui si attiva una trottola e subito, senza preamboli, aveva stracciato via la mia camicetta scoprendomi i seni. A quel gesto semplice e violento avevo provato, come mai prima nella mia vita, un lungo momento di eccitazione fusa alla paura più intensa. Impotente, ero stata trascinata in camera, sbattuta sul letto, spogliata il minimo sufficiente perché Jeff entrasse dentro di me. Cercavo di divincolarmi, perché la sua presa aveva qualcosa di soverchiante e spaventoso, ma nel contempo le sue mani cercavano con sapienza il mio corpo iniziando a trasmettermi una sorta di armonica dolcezza. Era dentro di me senza ondeggiare e lo sentivo crescere e decrescere con veemenza, generandomi un bisogno incontrollabile di assecondare le sue pulsazioni.
Anche adesso, come allora, lo sento gonfiarsi e sgonfiarsi, in un ritmo sincopato rispetto al suo ondeggiare dentro e fuori da me. Le sensazioni fisiche del momento sono mischiate ai ricordi del passato in un turbinio di emozioni che cresce velocemente. Perdo il controllo del mio corpo e veniamo insieme per un tempo lunghissimo. Alla fine crollo in una pace esausta. Anche questa sera, sono certa, lascerà un segno dentro di me.
Quando frequentavo uomini, i dettagli di ogni incontro venivano presto dimenticati. Con Jeff e John invece le nostre serate di sesso mi rimangono impresse come sigilli in ceralacca sopra lettere cariche di passione. Nessun bisogno di fare tatuaggi per ricordare l’importanza di un incontro, nessuna necessità di ripercorrere i ricordi per mantenere vive quelle sensazioni. Le sessioni con loro sembrano agire direttamente su quella parte di me profondamente genetica che mi spinge a cercare la passione. E ogni momento si forgia in maniera indelebile nella mia anima.
Jeff mi bacia dolcemente e si fa da parte, John si avvicina sopra di me, mi guarda negli occhi, sorride al mio sguardo appagato ed esausto, e sfiora dolcemente la mia guancia con le sue labbra. Si riposiziona al mio fianco, continuando ad accarezzarmi in maniera leggera e sensuale, ma non invadente. Rimane all’ingresso del mio ventre senza forzare alcun movimento.
Mi riprendo dopo alcuni minuti. Sento dentro di me un benessere che va al di là della passione e della stanchezza. Jeff e John, ai due lati del mio volto, sfiorando i miei seni, prendono a discutere sulla lucentezza della mia pelle disquisendo con discrezione su quale dei due sia stato quello che con i suoi massaggi e la sua passione ha contribuito di più al risultato. E hanno ragione perché la mia pelle e tutto il mio corpo sono molto più tonici da quando ci sono loro nella mia vita. Sono ritornata la splendida donna che ero da ragazzina.
Non ho bisogno di dire nulla, sanno che sono in pausa prima del riposo della notte, ma con loro non si può mai stare troppo tranquille. John è lì a qualche centimetro, le loro dolci carezze continuano e i loro sensori di eccitazione sono infallibili. Innumerevoli sono le notti in cui, durante qualche sogno forse nemmeno troppo erotico in cui ho scatenato i loro sensori, mi sono poi risvegliata già nel bel mezzo di una sconvolgente sessione d’amore.
Questa sera sono davvero troppo stanca per continuare. Cerco di distrarmi distogliendo ogni pensiero dall’intreccio dei nostri corpi, e ritorno con la mente alla visita della nonna nel pomeriggio. Mi viene a trovare spesso da quando è mancata mamma. Era arrivata arzilla come sempre con i suoi ottant’anni e un’energia che le invidierebbe chiunque. Aveva bevuto il tè preparato amorevolmente da Jeff e aveva cominciato raccontando tutte le attività che aveva svolto nell’ultimo periodo, perché nonostante l’età non sta mai ferma. Poi, ad un certo punto, quando Jeff e John si erano portati con discrezione in altre stanze con la scusa di terminare le pulizie, prima di andarsene, mi aveva preso da parte con fare sapiente.
– Ascolta tua nonna, Lucia. – aveva iniziato parlando sottovoce per non farsi sentire – Tua nonna sa come va il mondo. Anch’io ai miei tempi ho avuto le mie avventure. Ma avere due uomini, per una donna come te della tua età, non porta da nessuna parte. Sono tutti e due giovanotti belli e intelligenti, ma devi sceglierne uno, lasciare che l’altro si faccia una vita con qualche altra donna. E con quello che scegli devi pensare a mettere su famiglia. –
Sorrido. L’espressione dolce e conciliante di mia nonna aveva gareggiato con la sua ingenuità. Jeff e John per lei sono degli splendidi esemplari di homo sapiens come qualsiasi altro dei suoi tempi. Ma i tempi sono cambiati.
Ripenso alla sua preoccupazione: mettere su famiglia. Sorrido ancora. Vado con la mente al manuale di istruzioni. Verso la fine ci sono ben quattro pagine piene di punti esclamativi, declinazioni di responsabilità, sottolineature e frasi in grassetto per richiamare l’attenzione. Il manuale dedica molta più cura nel trattare quella funzione rispetto a tutte le altre. La funzione “Disabilita carica a salve”.
Perché si sa, gli spermatozoi sintetici e il codice genetico con cui vengono caricati raggiungono sempre il loro obiettivo senza sbagliare.

15 thoughts on “La nonna di Lucia

  1. Diemme 26 Aprile 2017 / 8:51

    Dove si comprano? John e Jeff sono riusciti a risvegliare il mio interesse… ?

    • Pj 26 Aprile 2017 / 14:17

      Cara Diemme, sto appunto trattando con il negozio per vedere se riesco ad ottenere uno sconto speciale per le lettrici del blog. Sarebbe figo, io credo. Un nuovo filone nella letteratura commerciale. 😀 😀

      • Diemme 26 Aprile 2017 / 14:34

        Guarda, li compro pure a prezzo pieno! ?

      • Pj 26 Aprile 2017 / 18:26

        Ok. Ti teniamo presente come utente pilota. 😀

  2. FIK 26 Aprile 2017 / 14:07

    😀 una visione dell’altra metà del cielo! Bravo PJ…
    la funzione “carica a salve” è un vero colpo di genio!!

    • Pj 26 Aprile 2017 / 14:30

      😀 😀 Non so se sia un colpo di genio, ma di certo a qualcuno verrà voglia di mischiare i progressi della robotica con quelli della genetica, così come di certo sospetto che questi articoli di merchandising un giorno andranno a ruba. E ci sarà pure chi li ruberà. Probabilmente la loro comparsa sul mercato segnerà anche la fine dei Facebook & C.
      Insomma un futuro sorprendente che lascerà davvero poco spazio a noi maschietti doc. 😉

  3. gigifaggella 26 Aprile 2017 / 14:32

    Semplicemente geniale! Una versione ultramoderna del sogno erotico visto da parte della donna. Oh se in quel negozio offrono anche Jessica e Samantha fammelo sapere… ciao PJ!

    • Pj 26 Aprile 2017 / 18:30

      Ciao Gigi. Allora devi leggere il racconto precedente “Lucia”. Ci sono le risposte alle tue domande. Guarda caso ci sono ben tre Samanthe. Questo è il sequel allegro.

      • gigifaggella 26 Aprile 2017 / 18:36

        azzo….me lo sono perso…tre Samanthe? Adesso lo cerco!

    • Pj 26 Aprile 2017 / 21:16

      Grazie Mela. Anch’io sono particolarmente contento di essere riuscito ad imbastire quattro righe dopo tanto tempo. 🙂

      • Pj 26 Aprile 2017 / 21:18

        Sei sempre gentilissima. 🙂

  4. ili6 30 Aprile 2017 / 18:13

    ahahah, racconto godibilissimo 🙂 La “carica a salve”, poi, è una vera chicca!
    Al di là di tutto, e oltre alla tua scrittura elegante e mai volgare, mi è piaciuta la totale assenza di gelosia tra i due J e J, sentimento distruttivo che gli homo sapiens ,invece, conoscono purtroppo bene.
    Benriletto 🙂

    • Pj 30 Aprile 2017 / 18:30

      Mi fa molto piacere il tuo apprezzamento, Marirò. Mi piace molto anche che tu abbia colto la completa assenza di competizione e la complicità tra i due “baldi giovani” di cui Lucia si è contornata. Direi uno dei punti chiave della mia proiezione futurista sulle “consuetudini sentimentali” che forse attendono le generazioni future.
      E’ stato, come sempre, un piacere averti qua. E grazie per l’involontaria “spinta” finale alla pubblicazione di questo raccontino. 😉

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