NovantaQuattro

Qualche tempo fa mi ero ripromesso di arrivare a scrivere entro fine luglio cento articoli. Mi piace celebrare certi piccoli eventi della vita accompagnandoli, se possibile, con dei numeri tondi. Quando mi ero fatto questa promessa il traguardo sembrava facilmente raggiungibile. Il 7 di luglio a 7 articoli dall’arrivo, invece, devo confessare, l’arrivare al risultato mi sembra più una insignificante utopia che una possibilità reale.

È vero che ho già scritto l’articolo novantanove. Ma una volta pubblicato questo post me ne rimarranno comunque altri cinque da fare. E se voi pensate che io abbia altre cinque cose intelligenti o simpatiche o dolorose ma coinvolgenti da dire da qui a fine luglio, beh, vi sbagliate di grosso. 🙂

Un’amica qualche tempo fa mi diceva: “Scrivi solo cose tristi sul blog. Dovresti smettere.”
Un’altra amica qualche settimana fa mi ha detto: “La gente è stanchissima e non ha tempo. Ormai su facebook e sui blog vanno solo le cose che fanno ridere. Le persone hanno bisogno di distrarsi e di divertirsi.” E ha continuato leggendomi un post divertente e famoso di una ragazza che dialoga in inglese maccheronico con Jonny Depp reo di aver disilluso troppe fan con le sue ultime impresentabili apparizioni.
Un’altra amica ancora, parecchi mesi fa, mi ha detto, con un tono quasi di sufficienza: “Il 95% di chi scrive e legge i blog sta cercando un compagno.” Non so se io abbia mai fatto pensare il contrario ( e se fosse non sarebbe nemmeno grave) ma io credo di appartenere decisamente al 5%. E credo anche che il rapporto tra cacciatori e  semplici passeggiatori di questi spazi virtuali presenti percentuali del tutto differenti. Di certo comunque, ne sono stra convinto, entrare in contatto con i pensieri di altre persone è una esperienza sempre drammaticamente affascinante.
Un’altro amico invece, non molto tempo fa, mi ha detto: “Non scrivi più un cazzo sul blog! Quand’è che andiamo a berci una birra?”. La semplicità del pensiero maschile è così simile alla semplicità della maggior parte delle soluzioni, che credo sia il vero motivo per cui abbia senso che esistiamo noi maschi a questo mondo.

Gli amici hanno sempre tutti un loro livello di saggezza. E tutte le cose che mi hanno detto sono un po’ vere. E io ho una mia teoria.
Qualche tempo fa ha inserito un commento ad un mio post TADS, blogger da 13 anni. Un nonno rispetto a me, poco più che lattante. Il commento era molto interessante. Parlava dei blog come puri e semplici bisogni di condividere le proprie “pene”, ha raccontato un caso di una blogger 75enne , e ha dato un giudizio sul ruolo dei commenti come comunicazione spontanea “di pancia”. Anche nelle sue parole molta saggezza. E, mia personale sensazione, anche un po’ di sua stanchezza.

La mia teoria è semplice. Questo mondo dei blog, come tutto nell’esistenza dell’uomo, evolve. E, come tutto ciò che ha a che fare con i mondi virtuali, evolve sempre più velocemente. Ho la sensazione che il mondo virtuale dei blog, che alcuni danno per spacciato, stia solo cambiando repentinamente e la fase di “stanchezza” che esso vive è un passaggio. Non credo che il mio anno e mezzo di frequentazione possa essere la causa del motivo per cui vi sia una disaffezione progressiva e una riduzione dello splendore di questi siti sempre molto originali.
Se devo associare un aggettivo al leggere e scrivere sui blog, l’unico che mi viene in mente è “frizzante”. Un misto tra emozionante, piacevole, sorprendente e libero. Quando usavo le piattaforme social l’aggettivo che mi veniva alla mente più di frequente per descrivere l’interazione di quei mondi era “estemporanea”.
Tutto viaggia di pari passo con i tempi. Oggi la gente non ha più tempo. Per leggere, per interagire, per divertirsi lentamente, per impegnarsi, per giocare con intelligenza, per capire, per capire cosa sta facendo, per razionalizzare cosa dovrebbe emozionalmente fare. E vince il puro social.
Ma i blog, che sono l’espressione di singoli io (e di loro proprietà non come le piattaforme social), evolveranno per aggirare questo ostacolo in qualche maniera.

Anche questo articolo che ho scritto, il novantaquattresimo, è già troppo lungo per poter essere affrontato come lettura dalla metà dei blogger wordpress.
Tuttavia sono un passetto più vicino a 100.

 

 

La ricerca del valore

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La bellezza una volta acquisita diventa scontata e, si sa, le cose preziose ma scontate perdono presto il loro fascino. E così ci si rivolge altrove, finendo spesso per cercare ottusamente il valore dove esso manca.
Dietro a questa catena senza fine di dinamiche sempre uguali si nasconde la rinuncia volontaria, quasi la negazione di ogni possibile appagata e duratura scoperta del bello vicino a noi. Lo si abbandona presto per perseguire l’emozione di una continua insaziabile ricerca senza speranza.
Uno dei tratti umani più diffusi nel mondo di oggi.

Girovagando

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Girovagavo stancamente tra i blog che mi venivano proposti. Una sequenza disordinata di riflessioni, di piccole illuminazioni, di storie profonde nella vita di qualcuno, di aneddoti divertenti, di immagini che immortalavano l’istante, di pensieri raccolti in qualche punto della rete e poi rielaborati, frasi ad effetto sorprendenti e frasi semplici cariche di emozione, cronache egocentriche e intuizioni universali. Commenti allegri, commenti sinceri, commenti di circostanza, commenti ammirati, commenti inutili, commenti forzatamente celati. E poi frammenti di sé, desideri, sogni, speranze, certezze. Sentimenti, molti sentimenti. Amore in tutte le sue declinazioni, da quello sprecato a quello anelato, passando attraverso quello che lascia i suoi Segni. Poesia degli animi. Bisogni chiari di condividere, bisogni oscuri di uscire da dove si è.

C’era un ordine segreto in quell’apparente caos. Non era così semplice da scovare. Bisognava chiudere gli occhi e percepire che dietro ogni frase scritta c’era una vita, intensa e reale, che sublimava una parte di sé.

Il difetto delle onde gravitazionali

Qualche giorno fa ero in ufficio, perso in una delle infinite inutilità della mia vita lavorativa, quando entra un collega con un bel sorriso soddisfatto sul volto e mi dice:
«Oggi pomeriggio annunciano che hanno finalmente trovato le onde gravitazionali».
All’inizio non ho compreso subito di cosa mi stesse parlando. Mi aspettavo qualche sollecitazione lavorativa, o qualche altra affermazione usuale. Poi, nello spazio di qualche secondo, mi si è aperto un mondo. Non tanto per la prassi moderna che prevede l’annuncio anticipato del momento in cui si farà l’annuncio di qualcosa. Ormai ho fatto il callo anche a questo nonsense della scienza contemporanea.
La sorpresa è nata dentro di me dritta dritta da certe mie remote intuizioni. Avevo sempre saputo che il momento sarebbe arrivato e ora, quel momento, era proprio lì, nel mio ufficio, nella piega del tempo che stavo vivendo, per mezzo di quel ragazzo che un anno prima non conoscevo nemmeno. Mi parlava delle onde gravitazionali affascinato, con una certa ingenuità scientifica e lo stesso entusiasmo che avrebbe utilizzato per descrivere un ritrovo di gnocche sorridenti e disponibili. Venticinque anni prima sapevo che quel momento sarebbe arrivato, ma no, ve lo garantisco, non avevo la minima idea che sarebbe successo così come è successo.
Mentre mi raccontava i dettagli dell’annuncio non riuscivo nemmeno a seguirlo. Dentro di me vedevo passare pensieri ed emozioni tumultuose, sopite da una vita, sentendo crescere sul mio volto un sorriso sornione ed enigmatico, fusione di compiacimento, ironia e consapevolezza originati da quella fantascientifica macchina del tempo che va sotto il nome di “ricordi”. Capendo che il mio sguardo assente potesse essere considerato scortese, gli ho raccontato il mio passato e dopo poco sono finito per recitare il titolo della mia tesi di laurea in fisica:
Rilevazione di onde gravitazionali a bassa frequenza mediante inseguimento Doppler di una sonda interplanetaria“. Il titolo ha dato alle mie parole sulla grande scoperta una certa autorevolezza, che mi ha permesso di rincarare l’innocente inganno sulla natura “gnocca” di queste sinuose onde gravitazionali. Anche se, come vi racconterò, la Verità sta sempre un po’ più scostata dai nostri sogni di bellezza.

Quando si è giovani i sogni sono una componente fondamentale della vita perché sono parte integrante del nostro animo e dei nostri pensieri. Poi con il tempo si trasformano e spesso sublimano diventando l’estrema essenza con cui le nostre aspirazioni sopravvivono alla piena consapevolezza che la norma è non sfiorarli nemmeno.
E la mia tesi rimane nella mia vita uno dei punti centrali della sublimazione dei miei sogni.
Prima di allora il mondo era soprattutto fascino e potenzialità, poi si è trasformato. Ho sperimentato sulla mia pelle che esiste l’Universo con le sue meraviglie da un lato, e dall’altro la sua propaggine umana che è davvero molto articolata. Indagarlo, capirne, o anche solo intuirne i magici misteri, è una delle sfide più nobili per l’Umanità, ma l’Umanità la affronta nell’unico modo con cui è capace di farlo: piccoli passi incerti, carichi di personalismi, in cui spesso i mezzi giustificano i fini.

E non bisogna credere il contrario, il periodo degli studi universitari e la mia tesi sono una parte specialissima della mia vita che ricordo con piacere e profondo entusiasmo. Ho amato sfiorare quegli spicchi di conoscenza che mi erano offerti, ho gioito vincendo il confronto con gli esercizi di matematica con l’asterisco (quelli veramente difficili in cui la risoluzione si poteva raggiungere solo facendo largo uso della fantasia), ho adorato durante la tesi risolvere in più modi l’equazione della geodetica che descrive ad esempio il campo gravitazionale generato da due stelle doppie che ruotano l’una intorno all’altra in una danza senza fine. E ho provato una punta di orgoglio nello scoprire che tutti gli articoli fino ad allora avevano sbagliato i conti. Non mi importava allora e non mi interessa oggi sapere che ci vorranno altri vent’anni per vedere gli strumenti di misura sufficientemente più perfezionati da riuscire a colmare il balzo di precisione di quattro o cinque ordini di grandezza che allora era necessario per poter dimostrare l’esattezza di quei calcoli.
Semplicemente con quella tesi ho percepito una cosa che ho capito veramente solo l’altro giorno, con l’annuncio della prova sperimentale dell’esistenza delle onde gravitazionali. Nella vita bisogna scegliere se cercare di capire in profondità una fettina minuscola della Bellezza dell’Universo o se decidere di rimanere costantemente rapiti dalla grandiosità del suo insieme. In quel periodo, senza nemmeno saperlo, io ho fatto la mia scelta, guidato solo dall’intuizione.
Ci sarebbero tanti risvolti da approfondire su questa decisione del passato. Sui suoi effetti, sul fatto che un percorso differente avrebbe agito in maniera dirompente sulla mia già claudicante socialità. Ma tutte queste riflessioni, fortunatamente, non sono interessanti.

Ma oggi io sorrido sempre quando sento questi annunci scientifici. Le onde gravitazionali esistono? Sì, certissimamente. La rilevazione del 14 settembre 2015 ha realmente visto il segnale dell’esistenza delle onde gravitazionali? Sono convinto di sì. Un passo importante dell’Umanità.
Ma quando sento dire che sono l’effetto di due buchi neri di una trentina di masse solari che decidono di fondersi seguendo la spirale della loro vita … beh, ragazzi miei, credetemi. Tutte cazzate!
Gli scienziati studiano il più grande Spettacolo che si possa immaginare e ormai fanno spettacolo non meno di tanti registi di oggi. Un po’ perché il mondo glielo chiede per colorare un po’ l’apparente essenzialità delle loro scoperte, un po’ perché il loro lavoro li porta spesso a ridosso della fantascienza e non c’è niente di più umano del cedere all’entusiasmo.

Non si poteva certo lasciare il sussulto del loro strumento di rilevazione delle onde gravitazionali, costato miliardi e miliardi, sempre muto fino ad allora, confinato alla sua essenza di semplice sussulto. Era necessario condirlo con buchi neri che si abbracciano a qualche parsec di distanza da noi che ti sembra quasi di poterli toccare. E siamo fortunati che le superstringhe stanno tramontando altrimenti avremmo potuto forse anche scoprire in quel picco di vitalità di un pezzo di ferro supertecnologico  la spiegazione dell’unificazione di tutte le teorie.

Le onde gravitazionali sono una meraviglia, la scienza che ci ha portato fino a loro è una delle espressioni più nobili dell’essere umano. Specialmente ai giorni nostri, dove scoprire qualcosa di nuovo è dieci volte più difficile di un secolo fa. E tutta la fisica si occupa di questioni che se ti fermi un’attimo a guardarle nella loro perfezione finisci in uno stato d’animo di profondissima stupefazione.
E guardate che è tutto bello e misterioso, molto più di quello che immaginiamo. Le onde gravitazionali, sì una figata! Le superstringhe, belle! Se servissero a qualcosa. I buchi neri, mamma mia come vorrei averne uno nel bagagliaio dell’auto!
Però a volte mi fermo e penso anche alle cose semplici e meno altisonanti. Penso alla legge dell’attrito, di cui sembra che i nostri scienziati sappiano tutto. Ma non siamo ancora riusciti a mettere assieme uno studioso di psicologia, che inizia ad avere i capogiri appena vede una formula matematica, con un fisico che guarda il suo collega psicologo con altezzosa superiorità, quasi fosse un ciarlatano, per spiegare nel profondo come mai l’attrito tra due persone nel gesto semplice di un abbraccio può cambiare per sempre le loro vite.

I due generi

generi

A volte mi assale la certezza che a questo mondo le persone si dividano in due grandi gruppi. Una divisione pressoché assoluta, epocale, come la divisione tra il genere maschile e quello femminile.
Esistono persone per le quali l’esistenza si assesta senza scossoni, le giornate si susseguono senza perturbazioni significative, trovando una logica compiuta nel lento evolvere degli eventi quotidiani, delle relazioni stabili, dell’accettazione, non sempre serena, ma profondamente chiara che l’oggi è qui e il domani arriverà. Nessun mulino a vento da sconfiggere, nessun acuto da sfornare dal forno della propria vita.
E, dall’altro lato, ci sono persone che non trovano mai il luogo buono, la situazione perfetta in cui essere se stessi. Ogni episodio, per quanto positivo e sorridente, ha sempre un lontano retrogusto di incompletezza. Porta con se il presagio che presto anche quel momento lascerà il posto ad un qualche cambiamento che lo negherà.
Non mi è dato ancora sapere se questo secondo gruppo di persone sia destinato comunque a trovare, nel corso della sua esistenza, l’habitat finale che gli farà pensare: “Ecco, sono qui. Alla fine sono arrivato anch’io. La mia Ultima Spiaggia è qui e valeva la pena vagare a lungo per fermarsi a guardare l’Oceano da questo punto”. O se invece la ricerca non ammette soste.
So però che come non esiste un genere migliore dell’altro, così anche non esiste una vera supremazia tra chi fa uso continuo della stabilità e chi non sa nemmeno quale sapore possa avere. Un uomo non è migliore di una donna, e chi è arrivato non è migliore di chi è sempre in viaggio.
E credo anche di sapere che, negli anni, si stia concretizzando una lenta migrazione da un lato all’altro del crepaccio che ci divide.
Siamo il popolo migratore della felicità incompleta.

Intreccio rugoso

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Sarebbe stato facile ingannare le stagioni dipanando con leggerezza l’intreccio serrato delle nostre esistenze. Di giochi e sorrisi avremmo potuto perire, ma hai preferito lasciare che il Tempo mi portasse con sé. E quel che rimane, lontano e silente, frena la luce che esce dall’occhio. Solitaria scintilla coperta da un velo di rughe e ferite.

L’aria frizzante della foto

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A volte scatto una foto e sono assalito da una sensazione fortissima, come se in quell’immagine si nascondesse una sfumatura importante della mia vita che fino ad allora mi era sempre sfuggita. Cerco e ricerco a distanza di tempo e scopro che il momento che vuol rivelarsi non si nasconde tra i pixel ma dentro me stesso.