Ci fu un tempo in cui la nostra vita era sregolata e le nostre azioni schizofreniche.
Ci fu un tempo in cui era normale vedere una banca appianare i propri debiti finanziando l’azienda che avrebbe sottoscritto il suo aumento di capitale.
Era usuale portare sul tavolo della colazione una confezione di brioches dolcemente dorate che emergevano trionfanti e minuscole dopo aver scartato molteplici involucri. Ci si consolava pensando che solo un possente Tir aveva potuto distribuire ai punti vendita tutte quelle confezioni cariche di vuoto, lo stesso Tir che, se l’avessimo avuto a disposizione, ci avrebbe poi fatto molto comodo per portare tutto alla raccolta differenziata.
Era un tempo in cui non ci si stupiva nel vedere prototipi di moto e automobili che usassero come carburante l’acqua o l’energia solare e si rimaneva fieri nel godere delle nostre code all’ingresso dei distributori, perché l’idea di assieparci tutti sulle rive di un ruscello per riempire la tanica di “benzina davvero verde” per il nostro mezzo, sarebbe stata troppo prevedibile e, allo stesso tempo, incontrollabile.
Costruivamo i nostri nuovi edifici sui parchi in fianco alle cattedrali di vetro e cemento che avevamo abbandonato, perché solo usando la gomma sul colore verde dei prati intorno a noi potevamo sentirci in sintonia con il grigiore delle nostre vite.
Erano anni in cui contribuire a far crescere il PIL era quasi più piacevole dello scambiarsi una carezza alla brezza marina sotto la luce incerta di una falce di luna rosata. Forse anche per quello nei cibi di tutti i giorni ci veniva infilato quel non so ché che ti faceva perdere un po’ dell’attrazione fisica verso l’altro sesso a favore di un cospicuo aumento dei gigabyte da condividere.
E noi ci lasciavamo vivere senza dire nulla, quieti conduttori del filone esistenziale basato sul bisogno del denaro di alimentare sé stesso. E tutto il nostro vivere si stava riducendo a quella semplice regola.
Poi si diffuse il Libro e tutto cambiò repentinamente. Le nuove generazioni dimenticarono presto. Le logiche di quegli anni passati divennero subito incomprensibili. Ricordo ancora bene, quando ancora la famiglia si ritrovava unita per il pranzo di Natale, e cercavo di raccontare ai nipoti venticinquenni come vivevano i loro coetanei di quel tempo lontano. Partivano interessati, iniziavano a farti domande, si chiedevano come poteva essere stato possibile che le conoscenze dei loro coetanei, la loro voglia di fare non sortisse altro effetto se non lavori sottopagati, o addirittura non pagati del tutto. Ascoltavano racconti di giovani che raccoglievano gloria nel partecipare a progetti che, se avessero avuto successo, avrebbero dato loro solo altra gloria. Ascoltavano … ma poi si facevano guardinghi e increduli, con un’espressione sul volto come se stessero pensando: “Che cazzo stai dicendo, nonno?”.
Com’è difficile immaginare il vivere in un mondo ormai scomparso completamente, quando le regole su cui si basava vengono soppiantate da nuovi principi.
Ora io sono solo un povero vecchio, uno dei pochi ancora abbastanza lucidi da ricordare quei tempi che non ci sono più. Perché a noi viveur dell’undicesima decade oggi ti tengono in funzione sempre ad ogni costo, perché tu sia un vessillo del progresso medico. Ma invero, a giudicare dai numeri, essere autosufficienti e autocoscienti a questa età è un privilegio che non credo abbia nulla a che fare con la scienza medica, mentre vivere senza vivere incrementa i numeri della Sanità ma non le nostre fortune.
E così sono uno dei pochissimi fortunati che può dirlo con certezza, ora che non è più una onta parlarne: a quel tempo sapevamo tutti benissimo che la vita che conducevamo in quegli anni che furono, non sarebbe potuta continuare a lungo con quelle sue regole anacronistiche … e, nonostante questo, continuammo imperterriti con una specie di sorriso disegnato sul nostro volto. Continuammo imperterriti.