La doppia striscia continua

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Negli ultimi quindici anni credo di aver cambiato vita almeno tre volte. E non è da escludere che prossimamente il corso degli eventi si modificherà ancora. Chi pensa, come a tratti ho fatto io stesso, che la propria vita sia saldamente inserita in binari stabili io credo debba essere molto prudente in queste sue convinzioni.

La meccanicità dell’esistenza e il suo esatto opposto, la turbinosa vorticosità, sono sempre in agguato ed entrambe possono scatenarsi devastando ogni certezza, scombinando ogni inamovibile piano.
In un batter d’occhio.

Quando si è giovani ti fanno credere (o semplicemente speri), che con il tempo diventerai maturo, che tutto ti sarà chiaro, che lo sviluppo della tua vita sarà lineare e molto soddisfacente. Eppure non è così. E’ brutto da dire. Ma non è così.

La vita rimane un’avventura meravigliosa, più straordinaria di qualsiasi nostro sogno, ma il titolo di questo articoletto non è “La vita è un viaggio pazzesco!” e quindi, per oggi, non parliamo di quanto mozzafiato essa sia nella sua essenza e ci limitiamo ad esplorare cosa ci aspettavamo dovesse accadere e non è stato.

La “maturità”, a mio avviso, è un termine coniato per indicare uno stato dell’animo umano che non può esistere. E’ solo un’aspirazione. La convinzione che prima o poi sia inevitabile incontrare nel nostro percorso un luogo che simboleggi l’El Dorado della Saggezza. Un luogo in cui fermarsi appagati e sereni per aver raggiunto il nostro equilibrio. Illusioni.

Quando l’esistenza ti porta a cambiare vita, però, lo capisci bene che questa aspirazione alla maturità, alla tranquilla accettazione del tuo status adulto, è una chimera che non può essere raggiunta. Un’altro tassello inserito nel nostro DNA per non farci mai mollare la presa.
Infatti, per tutta riprova di questo anelare senza raggiungere, quello del cambiamento è il momento in cui ti assalgono pensieri quasi fanciulleschi. Più adolescenti della tua stessa gioventù. Segnali chiari che la maturità, ammesso esista, si manifesterà secondo schemi sorprendenti ancora molto lontani dall’essere sperimentati.

Nell’imminenza di questo nuovo cambiamento di rotta della mia vita mi sono chiesto più volte quale possa essere stata la conquista più significativa dell’età che avanza, quale sia stato il risultato più inaspettato della mia sempre limitata crescita. E’ brutto quando ad una domanda che riguarda noi stessi si fa fatica a rispondere qualcosa di sensato. Niente di eclatante, niente di cui essere veramente fieri, nessuna conquista che ti faccia dire: “Cazzo, ecco cosa voleva dire crescere!”.
Possibile?

Non amo per niente non trovare risposte. E così, pensa e ripensa, introspezione dopo introspezione, ho trovato un segnale chiaro di cosa è cambiato profondamente dentro di me negli ultimi quindici anni.
Ascoltavo in viaggio la lettura di un libro che parlava di intelligenza emotiva. Si disquisiva dell’amigdala e di altre funzioni cerebrali preposte alla gestione di alcune emozioni. E spiegava alcuni meccanismi sviluppati dal nostro io atavico per proteggere la nostra esistenza.

Mentre ascoltavo la lettura, percorrendo la strada, a tratti incontravo una doppia linea continua che mi invitava a non oltrepassare la mia carreggiata.
Ho intuito similitudini con quello che stavo ascoltando. Il meccanismo che funziona è sempre quello. Che sia il nostro stesso cervello che ci mette in guardia con i suoi automatismi, che sia una strada che ci divide regolamentando la nostra appartenenza ad una direzione, che sia un familiare che ci raccomanda cosa dovremmo fare della nostra vita, che sia un prete che nella confessione ci rende monito del giusto comportamento che dobbiamo seguire per obbedire alle Leggi, che sia un superiore che traccia cosa possiamo o non possiamo fare della nostra professionalità, che sia un telegiornale che invariabilmente racconta solo la notizia chiave delle ultime settimane ignorando ogni altro accadimento importante della contemporaneità, che sia la società che trasforma una vuota consuetudine in un dogma così radicato da mettere in crisi la libertà anche delle menti più aperte, che sia … . La nostra vita è circondata da vincoli preconfezionati. E’ uno stretto pertugio delimitato da tutte le parti da doppie linee continue che abbracciano il nostro spazio di azione in una morsa da cui è vano divincolarsi.

E il meccanismo è davvero sempre quello. Qualcuno progetta quale punto del tuo percorso debba essere segnato con la doppia striscia continua e spesso qualcun altro mette fuori il segnale “lavori in corso” e si industria con calma e precisione a tracciare con la vernice bianca quelle due linee che sicuramente ti salveranno la vita se non ti fai prendere dalla stanchezza dell’esistere.

Quando sei giovane, quelle due linee hanno un significato preciso. Ti insegnano la direzione. E talvolta, se occorre, le attraversi pure, ma quando lo fai, il motivo che ti spinge a farlo non è di certo perché le hai guardate bene. Le attraversi perché la trasgressione è la stereotipata affermazione dell’essere giovani.

Ora è diverso.
Quando sono per strada o mentre dialogo con una persona o quando rifletto tra me e me o quando subisco qualche sermone e mi imbatto in uno qualsiasi di questi segnali ho una percezione articolata di quello che rappresenta, lo vedo distintamente nella sua essenza: solo due strisce dello spessore di un decimo di millimetro di vernice bianca, nulla di più. Immagino il progettista che le ha inventate, penso alla raffazzonata semplicità che voleva trasmettere con il suo editto limitante, completamente ignaro di quando e in che contesto io ci sarei arrivato a ridosso. Penso all’operaio che le ha diligentemente tracciate. Non sento nessun impulso ad attraversarle, nessuno stimolo preconcetto a rimanere da questa parte e nessun senso di colpa o di trasgressione, volendo, ad ignorarne completamente la presenza.

Non so se tutto ciò abbia a che fare con la maturità, ma altro non sono riuscito a trovare dentro me stesso di veramente nuovo rispetto a vent’anni fa.