Il branco

Il_Branco

La donna in cima alla scalinata, prima di iniziare a scendere, si guarda intorno circospetta quasi in preda ad una intuizione di quelle che solo l’animo femminile sa generare con chiarezza nelle situazioni apparentemente tranquille. Questa sera, nonostante l’approssimarsi della primavera inoltrata, l’aria è stranamente velata e limacciosa e i lampioni appena entrati in azione alla luce incerta dell’imbrunire faticano a rivelare la limpidezza della realtà.

Se non fosse convinta di poter dominare tutto dalla sommità, prima di affrontare i gradini, non credo procederebbe. Tornerebbe sui suoi passi, indietro, a cercare un’altra via verso casa oppure un comodo accogliente taxi. Ma lì, dall’alto, li vede tutti così isolati, distanti l’uno dall’altro, così sparsi e indifferenti, che per un attimo dimentica la sua intuizione. Sette o otto passi sotto di lei c’è un ragazzo distinto, forse di una decina di anni più giovane, alto, asciutto ed elegante, intensamente intento a leggere un libro sulla panchina al bordo della discesa. Riassetta con un vezzo impercettibile la sua minigonna, ordinando alle sue gambe ben tornite di muoversi per iniziare a scendere, mentre i suoi lunghi capelli neri ondeggiano spavaldi e ribelli dietro di lei.

Sono pochi i gradini che si è lasciata alle spalle quando i loro sguardi iniziano a ferirla. Li sente, pungenti, multipli e contemporanei, arrivare da quei punti che solo alcuni istanti prima le erano sembrati innocuamente sparsi. L’istinto la fa voltare incerta verso l’alto a cercare con lo sguardo quella che potrebbe essere la via di fuga. Così tristemente simile alla via che l’aveva portata in quell’incrocio sbagliato della sua vita, quel passaggio ora è presidiato. Un ragazzone dai lineamenti rudi e spigolosi sta scendendo pesante senza fretta e senza dolcezza.

Si volge nuovamente verso il basso e riprende a discendere la scalinata dissimulando malamente, al  ritmico tichettio dei suo tacchi, un’ansia crescente.  Supera l’accanito lettore della panchina che, con la testa rivolta al libro, la scruta attraverso una maligna fessura degli occhi alzata verso il suo petto. Improvvisamente comprende nell’animo che quella sua età ormai non lontana dai quaranta, quel suo corpo sinuoso ed emancipato, compatto e snello allo stesso tempo, inviolato da gravidanze e accentuato dall’aderenza dei suoi abiti è un’attrazione perfetta per portare alla luce gli istinti delle persone intorno a lei.

Alcool e droghe imprecisate fanno crescere e rivelano l’essenza dei più semplici e atavici bisogni. Codificati in maniera fintamente schematica nelle strane sequenze genetiche di milioni di cellule, liberati da ogni senso di umano equilibrio e di sublime condivisione di intenti, essi si scatenano senza alcun filtro verso quel corpo che solo incidentalmente appartiene a lei. Partono all’unisono e vanno concentrandosi verso l’unico punto quasi chiamati da una silenziosa adunanza. Mentre lei, scesa ancora di qualche tremulo passo, viene sorpresa da uno di loro che le balza di fianco coprendole con una mano l’intero volto a soffocare uno strillo che comunque non sarebbe uscito.

Passano pochi istanti ed è riversa sulla nuda terra, subissata da arti esploratori e suoni emessi da corde vocali che legano il suo cuore nella morsa della paura. E i suoi vestiti si dimenticano di proteggerla. Gli uomini intorno a lei sembrano ruotare, ondeggiando come impazziti, carichi di dolorosa energia e per non cedere alla nausea e alla vista dei loro volti, chiude gli occhi.

Sparito il senso della vista le rimangono attivi solo l’udito e il tatto. Ma non può urlare per sovrastare le loro voci, non glielo fanno fare. Non può divincolarsi per sentire contatti fisici differenti con i loro corpi, perché non glielo fanno fare. Morde il fango per concentrare la mente su qualcosa di sensibilmente diverso … ma loro si susseguono in armonia, uno dopo l’altro, quasi avessero studiato un ordine ottimale, a tavolino, molto tempo prima. Ma la sequenza maschera solo atavici bisogni. Intensi. Nulla più.

Ora è il turno del Pertica, l’istigatore di tutti. Lui non ha mai avuto una ragazza, per lui è facile fare il capobranco. Si avvicina solenne e minaccioso, i suoi movimenti sono decisi e impietosi.

E’ misterioso e sorprendente vedere la ragazza come divisa in due. Il volto in lacrime, riverso di lato a cercare quasi un nascondiglio nella fredda terra, in una smorfia di infinita sofferenza, mentre la parte inferiore del suo corpo si muove quasi ad assecondare, con l’ondeggiare del proprio ventre, il ritmo sempre più frequente del loro piacere.

Davvero un peccato che le loro prede dimentichino il piacere e ricordino solo il dolore.

Si alternano uno dopo l’altro incuranti delle lacrime, dei lamenti, e soprattutto incuranti delle suppliche. Anzi ad ogni preghiera della donna sembra scatenarsi un’incitazione ancor più veemente delle frasi ridanciane del Pertica. Uno dopo l’altro. Uno dopo l’altro.

Ora vi devo lasciare. Questo è il branco, io sono uno di loro, e adesso è il mio turno.