Il difetto del resistere

Uccelli

Oggi mi sono ritrovato in una riunione con una collega e altri dodici apostoli intorno a noi. Più tardi, mentre rientravo alla stazione Termini, nello spazio di trenta metri nella zona “barboni” ho incrociato esistenze. Una donna di colore diceva ad alta voce in inglese “Ho bisogno di essere baciata!” – stranamente, non c’era la coda davanti alla panchina che aveva colonizzato, anche se non era affatto una brutta donna -. Un paio di uomini distesi, raggomitolati,  davano l’aria di fare il sonno più profondo della loro vita. Una donna sui cinquanta stava seduta completamente immobile – e quando dico immobile intendo dire dotata di stabilizzatore di immagine a prova di qualsiasi impercettibile movimento – con la testa china nascosta dentro i suoi lunghi capelli che avevano il solo difetto di non aver mai visto una tintura. Un’altra anziana dall’aria arcigna, con la chioma gialla e il carrellino al seguito,  urlava alla fila di taxi “Siete tutti cattivi!”. E qui mi fermo, ma potrei continuare ad allungare la lista di immagini tutte disgiunte, ma con fili conduttori comuni.  In questi casi, complice anche una certa stanchezza, i miei pensieri tendono ad avvilupparsi ed intrecciarsi … e non possiamo farci niente.

Esistono due differenti tipi di resistenza nella vita, molto diversi tra loro. Sono entrambi la dimostrazione che la tenacia dell’uomo può essere straordinaria.
Ho in mente lo sforzo continuo ed eroico di certe madri che seguono i loro figli giorno per giorno per anni e anni e anni e instancabilmente, anche se tra mille silenziose, nascoste rinunce, mettono il bene dei loro figli, e non solo, davanti a tutto.

Penso a coloro che resistono costantemente alle loro pulsioni più strane nella speranza di riuscire a mantenere quel minimo equilibrio che possa portare la loro vita in qualche punto preciso.

Ho in mente la tenacia di certi uomini,e non solo, che anche nelle tempestose circostanze delle crisi economiche spingono il loro aratro in cerca della vena buona per dare sicurezza a sé e al futuro dei propri cari.

E, dall’altro lato, penso a quei lavoratori che hanno agguantato un posto di lavoro buono, anche se ormai anacronistico, e lo difendono con i denti, le unghie e le minacce, al punto di impaurire tutti intorno a loro e tenere vivo un modo di lavorare e una professione che non hanno più senso di esistere nel mondo di oggi.

Penso a quegli amanti che tengono in scacco perpetuo il loro amato sotto la spinta di un desiderio di vincere un predominio che lasci lontano il rischio del distacco. Anche quando ormai l’amore è solo l’ombra di sé stesso.

Tutte espressioni di una straordinaria capacità dell’uomo di resistere alle difficoltà e alle sofferenze, al cambiamento e alle incertezze.

Pensiamo tutti di essere un po’ più fighi di quanto in realtà siamo e, proprio per questo, non riusciamo mai a diventare tutto quello che potremmo diventare. Ma quando facciamo uso della resistenza, nel nostro piccolo e senza preoccuparci troppo del fine ultimo del nostro resistere, siamo soprattutto una specie di eroi. Rinunciamo ad una parte della vita nell’illusione di raggiungere qualcosa di migliore. (O per lo meno … non peggiore).

E per quanto diverso possa essere il resistere nelle sue differenti espressioni, un grande punto in comune esiste sempre. E temo sia il suo vero difetto.

Basta che ci attardiamo un secondo con i pensieri, basta che perdiamo un attimo la concentrazione delle nostre energie verso gli obbiettivi “resistenti”, e in un lampo tutti potremmo facilmente scrivere nella nostra vita e nella nostra storia un articoletto rilassante e sconsolato dal titolo “I molteplici pregi del mollare la presa”.