I ricordi che generiamo negli altri misurano la nostra vita
Qualche giorno fa ho letto il post di un caro amico. L’articolo, intelligente e toccante, parla della memoria e del tempo. Sono temi affascinanti e, anche se spesso tendiamo a dimenticarlo, sono il centro della nostra vita.
Da quando ho letto quell’articolo ripenso moltissimo ai ricordi importanti e ricchi che sto accumulando in questo periodo della mia vita. Le nostre vite non sono solo l’elenco di quello che ci accade, sono soprattutto il legame che collega gli eventi tra loro e la relazione con le persone che ne fanno parte; tutto si sviluppa fino a generare la percezione del tempo e dello scorrere delle nostre esistenze, che sono tutte incastrate le une sulle altre come in una specie di ingranaggio che a piccoli scatti porta a compimento i passi di ognuno di noi. E con piccolissimi, infinitestimi movimenti porta a compimento qualcosa di più ampio di cui i nostri io sono solo parziale espressione.
Ogni scatto di questa macchina che ci accomuna, lascia un ricordo a testimoniare che c’è stato un passaggio condiviso.
Spesso siamo portati a pensare, specialmente chi come me esteriormente non è più l’adolescente che ha ancora dentro di sé, che presto arriverà il momento di valutare l’esito della nostra vita. E capita inevitabilmente di immaginare che esistano dei parametri assoluti per misurare quanto “bravi”, forti, influenti, ingegnosi, coinvolgenti siamo stati.
Io non credo sia così.
Non credo nemmeno esista una “memoria collettiva”, che vada riempita con il nostro lascito, per la quale un giorno si possa dire: “E’ esistito Caio o Beppe o Gastone”. Sì, forse di qualcuno di noi sopravviverà il nome, e comparirà sempre più sfumato, in qualche libro di storia o dentro l’incerta consistenza di un motore di ricerca.
Oppure forse di qualcuno rimarrà nel tempo il segno di un suo gesto eccezionale o estremo, che colpirà l’immaginario collettivo alla bocca dello stomaco. Ma la mia sensazione è che non sarà lì che si misura la nostra vita. So di andare controcorrente, ma il gesto finale di un Robin Williams, per il quale ho sempre provato un’ammirazione straordinaria, ha paradossalmente ridimensionato una parte così importante della sua opera che io provo quasi imbarazzo all’idea di rivedere un Attimo Fuggente o una Leggenda del Re Pescatore.
Ecco credo che la misura vera delle nostre vite stia da un’altra parte. Nel ricordo labile ed effimero che lasciamo in ogni istante alle persone che ci circondano, con cui cerchiamo di costruire qualcosa, con cui condividiamo il nostro affetto, il nostro tempo e la voglia di crescere.
Niente di altisonante, né di eterno.
Siamo noi che facciamo rivivere con la forza delle nostre emozioni e della nostra condivisione la magia di un passo ottocentesco o di un film degli anni cinquanta. Lo facciamo per fissare dei ricordi in noi stessi e soprattutto in chi ci sta vicino.
La simbiosi delle nostre menti e delle nostre emozioni. Quella è la chiave di volta per capire dove stiamo andando.