La fine delle idee

Condivisione

Fummo i primi ad averne coscienza.

Una mattina non diversa dalle altre avevamo atteso il momento di affacciarci alla nostra finestra sul mondo virtuale. La solita sommessa trepida attesa di ricevere qualcosa di importante e di donare qualche momento speciale alle altre persone intorno a noi. Un giorno come tutti gli altri.

Se ad intuire tutto fosse stato uno solo di noi non sarebbe stata la stessa cosa. Sarebbe stato tutto più semplice e l’evento sarebbe passato inosservato. Ne sarebbe uscito al più un post vagamente originale, qualche decina di sue condivisioni, una mezza giornata o due di commenti. Si sarebbe trattato di un passaggio interessante come ogni tanto era sempre successo in questo etereo mondo. Ma poi ogni rumore si sarebbe quetato.  Probabilmente, le alte sfere dell’azienda che gestiva la piattaforma avrebbero sguinzagliato i loro osservatori per guidare il motore di condivisione verso l’oscuramento permanente dell’effimera intuizione di quel singolo di noi appena più lungimirante degli altri.

La storia invece fu differente.

Ricordo ancora molto bene, i primi commenti che ci scambiammo a caldo in rete. Parlammo di sindrome da fuochi d’artificio, di persone stanche di muoversi nello spazio angusto dei flash condivisi che scorrono velocemente fino ad occupare il prima possibile il loro angolo di dimenticatoio. In fondo il nostro stato d’animo era davvero lo stesso di quando si assiste ai fuochi d’artificio: all’inizio si rimane incantati, dalla sorpresa, dai botti, dai colori scintillanti, dalle forme floreali che rischiarano imponenti il buio sovrastante. Ma alla lunga il tuo occhio non trasmette più sorpresa, il tuo istinto ti guida a riconoscere che si sta avvicinando il momento del gran finale, vaticinato precursore del vuoto che ne consegue. Il tuo animo si rammarica perché l’ultimo lampo fatto di pizzi finemente decorati stracarichi di colore è svanito molto prima di essere catturato dalla tua memoria.

La nostra predisposizione in quei giorni non era differente. Eravamo stanchi. Sorridevamo ancora alla vista di queste frasi a sorpresa, ma sapevamo già in anticipo, che scorrendo lo schermo dopo la prova costume riuscita a tutti con successo, perché qualcuno aveva ipotizzato che il costume bagnato si sarebbe asciugato, avremmo trovato quella dolcissima e virale cucciolata di gattini scampati alla leucemia felina grazie alla serata cosmica pro-animali organizzata dal nucleo volontari senza macchia e senza paura del quartiere San Tristino, e poi avremmo gustato una massima esistenziale degli indiani d’america, affiancata dalla confortevole forma a gaussiana del corpo di un oritteropo, che preannunciava la foto degli involtini primavera, invero molto simili a bolo predigerito, che la vicina di casa, vagamente gnocca, aveva appena cucinato senza invitarci né a mangiarli, né a scoparla … e così via. In una sequenza, senza sosta, di fugaci riecheggi di quarta e quinta mano delle stesse idee che qualcun altro aveva avuto chissà quanto tempo prima.

Ma, nella vita reale, lo sapevamo bene in cuor nostro, nessuno di noi avrebbe mai accettato, nemmeno come regalo, un’auto usata di quinta mano.

E forse quel giorno lo capimmo tutti assieme, di colpo: eravamo solo stanchi di ricevere e donare idee trite e ritrite di qualcun altro. Eravamo stati raggirati così profondamente da esserci convinti che ogni contenuto che ci palleggiavamo potesse essere così straordinario e senza tempo da poter rappresentare la versione universalmente ottimistica del nostro vero io. Ci eravamo a lungo identificati in frasi, immagini e situazioni, originali e forti, per colpire senza fatica l’immaginario nostro e dei nostri amichevoli obiettivi umani. Ma nella realtà avevamo solo dimenticato, piano piano, il meraviglioso valore celato dietro l’uso del nostro tempo, non dico per creare noi stessi qualcosa di significativo, ma anche solo per cercare dentro il libro di un nostro amato autore la frase d’effetto veramente in sintonia con il nostro stato d’animo.

Non è importante cercare il perché l’intuizione di massa si manifestò così repentinamente. Non è importante sapere chi sia stato il primissimo di tutti noi a inserire in rete questo concetto. La questione straordinaria e vincente fu che, indipendentemente gli uni dagli altri, mettemmo in circolo lo stesso pensiero scritto in forme sempre un po’ diverse ed originali e, nello spazio di un’ora, investimmo la rete.
Ricordo ancora perfettamente la sequenza degli eventi. Avevo appena lanciato l’aggiornamento del mio stato, con una smorfia di vago disgusto dipinto sulle mie labbra, e avevo deciso di chiudere tutto per quel giorno. Avevo esitato qualche secondo di troppo per quella mia indole un po’ vanesia che ama vedere il click del “Mi piace” da parte di qualche amico sulle mie cose, quando comparvero due condivisioni che scimmiottavano la mia: una frase in inglese maccheronico su sfondo rosa antico recitava “We have our balls completely broken” e subito sopra una “Certe condivisioni ci hanno sfracellato”, in verde speranza, cercava di nascondere con il suo font smisurato la sfondo preso da un film sulla discesa agli inferi. E da lì fu tutto un susseguirsi di sentenze a senso unico, separate qua e là solo dal solito “post consigliato” anacronistico e commerciale che rese il tutto ancor più grottesco. L’aspetto più curioso fu che, stranamente, nelle nostre frasi tutti o quasi avevamo fatto uso del plurale maiestatico, come se più che di intuizione di massa si fosse trattato di autocoscienza collettiva.

Il resto del giorno non lavorammo, commentammo alla grande, diventammo tutti molto più amici e a sera mezza nazione si tolse dalla piattaforma.

Quel che successe dopo lo conosciamo molto bene e non ha senso rivangarlo, ma ancora oggi passo spesso lunghe ore a chiedermi cosa sarebbe accaduto se quel giorno alcuni di noi ci avessero pensato qualche momento in più e avessero desistito dal pubblicare il loro stato o se i primi post di inizio giornata fossero stati quel tanto più originali del solito da scoraggiare ogni nuova tristezza o se i gestori della piattaforma avessero avuto l’intuizione di spegnere tutto in tempo per non far proliferare il rivoluzionario virus nato in quella prima ora. Quando ci rifletto, mi assale vera ansia al pensiero che se avessimo assistito ad un incastro di eventi solo leggermente differente, non ci sarebbe stata nessuna storia da raccontare, e saremmo ancora lì tutte le mattine con la solita sommessa trepida attesa di ricevere qualcosa di importante e di donare qualche momento speciale alle altre persone intorno a noi.

Tutti in balia di condivisioni geniali di decima mano.