Addio compagna di viaggi

Alberi

Una sera, molti mesi fa, al rientro da uno dei miei frequenti viaggi, ho deciso di lavare l’auto.  Era inguardabile e anche solo avvicinandosi a lei si rischiava che una parte dello sporco che la proteggeva avrebbe potuto decidere di cambiare ospite. Anticipo un concetto importante, per me le macchine sono solo pezzi di ferro. Ci fanno compiere in libertà il piccolo miracolo del salto spaziale da un luogo all’altro del nostro perimetro di azione quotidiano, ma a parte questo, sono solo pezzi di ferro.

Bene, quella sera sono rimasto molto colpito, perché arrivato al lavaggio automatico vicino a casa ad un’ora piuttosto tarda, credo fossero quasi le undici di sera, sono riuscito a fare coda. 🙂

Esiste un popolo di maschi, o presunti tali, che dedicano alla cura della loro auto attenzioni meticolose  e professionali, cure che difficilmente estenderebbero ad altre componenti importanti della loro vita.

Ho fatto coda per lavare l’auto, non è stato semplicissimo nemmeno accedere all’area “pulizia degli interni” e posso garantire che non c’era luce sufficiente nemmeno per immaginare di riuscire a scovare lo sporco. Molti avventori, passavano poi al bar dell’area di servizio. Estratto da una capanna di legno, addobbato con luci al neon colorate, recuperate io credo da qualche discarica d’altri tempi, disponeva di un’ampia dotazione di sedie di plastica per rendere comoda la loro pausa.

Spero che in quell’affollato spiazzo antistante il piccolo bar si sia parlato soprattutto di figa, perché l’idea che il tema principale possa essere stato il calcio mi disturba parecchio.

La faccio breve, quella sera mi sono allontanato da quel luogo con un principio di nausea e sono rientrato a casa con l’unica certezza di non appartenere alla setta degli adoratori del possesso automobilistico.

La vita tuttavia con il tempo sa presentare punti di vista sempre diversi anche alle questioni più semplici e più scontate. E a molti mesi di distanza ora non sono nemmeno più la persona che è rientrata a casa quella sera.

Sono passati pochi giorni da quando ho fatto compiere i chilometri alla mia auto in riva al Lago di Garda. E’ stato un passaggio strano nel quale, per tutta una serie di motivi, non nascondo, ho provato della tenerezza. Davvero molti chilometri, molte storie si sono incrociate intorno a questa auto, momenti iracondi, momenti stanchi, momenti romantici, momenti divertenti. Tutto racchiuso nello spazio del suo abitacolo.

La settimana scorsa, arrivavo a Milano, ed è comparso un rumore strano. Non uno dei soliti rumori artritici che era abituata a farmi sentire, era un suono più secco, frequente e ripetitivo di qualsiasi altro suono emesso prima. Il pomeriggio mi ha riportato indietro a casa, sempre più rumorosa ed affaticata. Siamo arrivati dal meccanico di fiducia, che con un tono misto tra il dispiaciuto (per aver perso una buona cliente) e il saggio universale (perché l’esperienza rende il medico dell’officina una specie di dio nel mondo dei motori) ha detto: “Questa auto è arrivata al capolinea!”

Mi ha colpito molto. Era già chiaramente guasta nella lontana Milano, ma mi ha riportato indietro, abbiamo superato assieme, arrancando in autostrada, gli ultimi TIR delle nostre avventure. Ieri abbiamo fatto gli ultimi eroici quaranta chilometri per raggiungere l’officina dove oggi l’ho venduta, comprandone un’altra, esteriormente non molto diversa da lei. E’ quasi certo che lei andrà incontro ad una nuova vita in qualche stato estero non ben precisato, e un po’ mi sembra di doverla invidiare. Di certo non riesco a non provare ammirazione e riconoscenza, perché abbiamo affrontato davvero una montagna di chilometri, ma non ha avuto nessun cedimento. Sarebbe bastato un piccolo guasto al momento giusto, una crisi di paura nel sandwich del traffico, una piccola sbandata e facilmente ora non sarei più qui a scrivere.

Noi uomini sbandiamo e ormai non ce ne accorgiamo nemmeno più, facciamo danni senza darcene alcun peso, lei invece non ha mai perso la retta via negli infiniti momenti importanti in cui aveva in mano la mia vita. E non si è tirata indietro fino alla fine. Non abbiamo nemmeno mai una sola volta veramente rischiato la vita, nonostante la montagna di chilometri che abbiamo scalato.

Le auto sono solo pezzi di ferro, ma forse con il tempo e la pazienza riescono a raccogliere intorno a sé quei pezzi di umanità e di affetto, che si staccano dalla nostra vita per la crudezza del mondo che viviamo. E forse per questo, non amo di certo il possesso dei pezzi di ferro, ma mi dispiace davvero che se ne sia andata.

Addio vecchia compagna di viaggi, sei stata soprattutto un’eroica, fedele, instancabile, contenitrice dei miei ricordi.

Il complechilometro della mia auto

Lago di Garda - Complechilometro della mia auto

Un paio di giorni fa, mentre venivo a Milano, per una serie di sincronismi, ho accompagnato la mia auto a compiere i chilometri (333.333) in riva al Lago di Garda. Vi risparmio i particolari del piccolo evento di questa mia esistenza, festeggiato con birra e tramezzini di autogrill, sotto l’influsso di sentimenti contrastanti tra l’autoironico, l’incredulo e il soddisfatto. La verità è che stiamo parlando di qualcosa come 4,8 volte la circonferenza della Terra percorsa in auto nei miei spostamenti degli ultimi due anni. 🙂

Evidentemente i miei genitori non potevano immaginarlo, ma quando mi hanno messo in mano a dieci anni i romanzi di Jules Verne “Ventimila leghe sotto i mari” e “Il giro del mondo in 80 giorni” io mi sono appassionato e si è compiuta una sorta di sinistro imprinting.

E’ la seconda volta nella vita che mi ritrovo a guidare un’auto che ho portato fino a superare la soglia psicologica di questi trecentotrentatremilachilometri. La prima volta ero assai più giovane e l’evento mi è passato vicino senza particolari riflessioni. A suo tempo questa meta era arrivata in maniera molto più graduale, in molti più anni e con una dinamica molto più naturale. Ora è stato tutto diverso. Si è trattato di un accadimento arrivato nel tumulto esistenziale, ricchissimo di riflessioni e di collegamenti.

Lo so, molti potrebbero pensare a quanto di sbagliato ci possa essere nel condurre una vita così poco attenta ad alcuni degli aspetti più banali della ragionevolezza. Vi posso garantire che ci sono veramente tanti diversi risvolti tutti sbagliati. I rischi, gli impatti ambientali, lo “spreco” di tempo, e se continuassi non rimarrebbe più spazio per altre parole in questo articolo. E so anche perfettamente che la grandissima maggioranza di persone, trovandosi al mio posto, sarebbe stata molto più saggia e avrebbe trasformato l’esigenza lavorativa in opportunità, avrebbe colto l’occasione per diventare, almeno un po’, cittadina di un’altro luogo. La ricchezza e la nostra crescita si ottengono anche cambiando le prospettive e favorendo il cambiamento.

Lo so, è tutto vero, però, ci ho pensato molto mentre sulle rive del lago riflettevo sull’evento: ha molto senso questa mia vita degli ultimi due anni trascorsa quotidianamente in due punti diversi della cartina geografica d’Italia. Non avrà un gran significato per la maggioranza delle persone, questo è certo, però io credo che nella vita non dobbiamo sempre ancorarci a quanto sia ragionevole fare, a quanto sia ovvia e saggia la consuetudine. Penso semplicemente che ognuno di noi ha un suo modo di esistere interiore che deve assecondare. Per stare bene con sé stesso, per trovare l’armonia anche nelle difficoltà, per non dimenticare che il sentimento deve avere uno spazio importante se non nella misura del tempo a sua disposizione almeno in quello dei desideri da perseguire.