Camomilla

Camomilla

L’amica del mattino

A casa, da diversi mesi a questa parte, abbiamo un nuovo coinquilino. Si chiama Camomilla. E’ una cricetina tenerissima che ha uno sguardo così profondo che, a tratti, sembra addirittura umano.

In realtà non è affatto detto che sia di sesso femminile, tuttavia la sua dolcezza e le sue movenze delicate e sornione ci hanno fatto decidere che sicuramente è una femminuccia. La foto che le ho fatto non le rende giustizia, è davvero un personaggetto grintoso e ammaliatore, che non meriterebbe proprio di stare al di là delle maglie di una gabbia. Ma quando dico a qualcuno che secondo me andrebbe liberata, giù nel parco qui sotto casa, si solleva un coro di minacce e un accorato appello alla mia ragionevolezza, perché pare opinione comune che a lasciarla libera non potrebbe sopravvivere e rimarrebbe sicuramente vittima dei gatti, di cui peraltro dalle nostre parti non c’è traccia, o peggio delle violenze sessuali di qualche topastro grigio di quartiere.

La verità, non me ne vogliano i lettori, è che io non sono questo gran animalista convinto. Amo gli animali, ma amo di più l’essere umano. Nutro una sana ammirazione per le meraviglie del creato (e sicuramente Camomilla è una di queste), ma non sento, di mio il bisogno dell’eccesso di condivisione del buonismo animalista, che spesso si incontra nei luoghi virtuali. Anzi fino a qualche tempo fa sarei stato certo che non sarebbe stato possibile un mio post che raccontasse qualcosa di Camomilla.

Il suo nome deriva dal fatto che dorme sempre. Qualche tempo fa, con mia figlia ormai maggiorenne, abbiamo letto su internet che questa specie di criceto va in letargo quando la temperatura si approssima ai 5 gradi centigradi. Dopo meno di dieci minuti la sua gabbia è stata ricollocata in terrazzo, per lasciare che la cricetina seguisse i suoi cicli naturali e possiamo dire, con l’esperienza di questi ultimi mesi, che l’articolo della rete non aveva tutti i torti. Ma c’è dell’altro.

Camomilla dorme tutto il giorno. E quando mi sveglio presto alla mattina, ossia tutti i giorni della settimana, perché io sono un viaggiatore, la trovo che dorme tutta raggomitolata. Ma prima ancora che io esca in terrazzo, è come se avesse un sesto senso, si sveglia e si avvicina alla parte di gabbia verso la porta che dà sul terrazzo. Non è sempre stato così. Un tempo era schiva e distaccata. Poi, piano piano, ha preso confidenza. Ora si avvicina alla gabbia e si vede che cerca il contatto, appoggia le sue zampette sulle mie dita, mi guarda con il suo sguardo che nasconde molto di più di quello che ci si può ragionevolmente attendere da un criceto.

Lo so, non dovrei, ma ultimamente ho preso l’abitudine di darle un mezzo biscotto. All’inizio le davo i biscotti alla crusca, da un po’ di tempo invece, le compro dei biscotti al cioccolato. Solo per lei, io non ne faccio uso. Dovreste vedere con che soddisfazione prende possesso del suo mezzo biscotto e si ritira a rosicchiarlo lentamente. Io credo che in quei momenti, stia riflettendo sui misteri dell’Universo.

Qualche mattina prima di occuparsi del biscotto, si attarda a giocare, dico io, con i polpastrelli delle mie dita. A volte ci affonda i suoi denti aguzzi, ma li ritrae subito. Magari sono io che proietto in questo suo agire qualche mia affettuosa fantasia, ma mi sembra veramente che nel suo gesto e nei suoi occhi ci sia soprattutto il bisogno di relazionarsi con un altro essere. Non importa se poi il mio dito sanguina un po per una mezz’ora, il suo gesto mi sembra nascondere così tanto vero affetto che non è grave far sapere che Camomilla esiste. In fondo è normale anche per noi, a volte, ferire le persone che amiamo.

Comunque sia, questa cricetina, prima o poi, va liberata.

L’Amante

Amante

Lo vedo da lontano, cammina senza convinzione, spingendo i passi in direzioni sempre un po’ diverse. L’argine lo vincola a seguire un flusso, un percorso in qualche misura obbligato che lo porterà al ponte successivo. Lì potrà decidere di tornare indietro o proseguire ancora, fino al collegamento seguente verso l’altra sponda. L’altra riva del fiume, il luogo dove lei sta aspettando, invece, sembra troppo lontana per il suo incedere.

E se non fosse sull’argine, se fosse su un prato di erba tagliata di fresco, il suo passeggiare disegnerebbe solo un cerchio malfermo, fatto di accelerazioni e di soste, di scostamenti laterali e di sguardi verso il vuoto.

Lo vedo da lontano e capisco che è indeciso, ma non è una esitazione dettata dal ricordo concitato del suo membro dentro di lei o dal calore ancora acceso di una carezza di lei sulla sua guancia, è un’incertezza piena di pensiero. Si ferma e rivolge il volto al fiume, ma non vede le increspature sull’acqua che spezzano la morbida sequenza del canneto. Non vede il topolino che rincorre la riva cercando la tana e non vede sul pelo della superficie i cerchi concentrici con cui la libellula azzurra sta giocando. Il suo sguardo è meccanico, guarda lontano i pro e i contro di una situazione che non governa. E riparte con il passo malfermo verso il ponte che non varcherà.

Chiudo gli occhi e mi sembra di vederlo da vicino, il volto teso e le guance rubizze cariche di tensione. Vuole uscire dai capillari della pelle per liberare finalmente la sua mente dai pensieri. Essi sono affollati dai lunghi capelli biondi e dal fascino delle espressioni di lei, dai tratti originali del suo volto, dall’eleganza con cui le caviglie si innalzano verso le gambe e dalla profondità del suo sguardo. Ma anche se i suoi pensieri parlano di tutto questo non riescono a non concentrarsi su quello che sarebbe giusto fare, ragionevole per lui e per la sua storia di uomo, su quello che il resto del mondo si aspetta che lui faccia e su cosa succederebbe fra qualche anno di tutte quelle immagini di lei che gli affollano la mente. E vedo anche la sua paura proiettare quello che lei penserà di lui quando il magico desiderio dell’imprevisto avrà lasciato il posto alla consuetudine della vicinanza.

Ho gli occhi chiusi e comunque lo sento arrivare alla soglia del ponte, lancia una rapida occhiata verso l’altra sponda con la testa sempre china e lo vedo invertire la rotta. Sembra per un attimo aver preso coraggio, sembra camminare più deciso e spedito, forse preda di un fugace benessere suggerito dalla convinzione che decidere qualcosa sia più importante di lasciare il ricordo di lei vagargli nella mente su quell’argine punteggiato di sparuti podisti. Ma bastano pochi passi decisi, che subito si fanno avanti i passi indecisi, quelli di prima, che rallentano e fanno pensare. Anche se una decisione è già presa, ce ne è un’altra che potrebbe sostituirla. E lo seguo mentre avanza verso di me, che mi tengo in disparte senza nascondermi.

Apro gli occhi. La panchina dove sono seduto è a poche decine di passi dall’argine dove lui sta passando. Ma non mi vede, perché vede solo i suoi pensieri, i pro e i contro, senza riuscire a vedere la gioia che gli potrebbero dare le immagini di lei che gli affollano la mente. Mi oltrepassa e arriva lento ai bordi della discesa, dove l’auto l’aspetta per portarlo lontano dai suoi desideri.

L’amante di mia moglie si perde ogni giorno, per sempre, qualcosa di importante.

Incominciare a dimenticare

GolfIntervista a me stesso

Cronista: «Frank, perché giochi a golf?»

Me: «Mah, a dire il vero non è che io gioco a golf. Ho giocato qualche volta nel passato. Ma sono mesi che non cammino più nemmeno sui prati. Figuriamoci sui campi da golf.»

Cronista: «Pensi sia utile per rilassarsi? Oppure ti aiuta a trovare la giusta concentrazione nella vita?»

Me: «Non saprei, ormai non ricordo più cosa si prova. Un tempo mi appassionava, mi piaceva l’idea di stare nel verde, mi piaceva scoprire le similitudini tra il percorso lungo le buche e il corso della vita.»

Cronista: «Dunque lo fai per stare a contatto con la natura. Ma non è che il vero motivo sia che tutti i dirigenti finiscono a giocare a golf, e tu non vuoi essere da meno?»

Me: «A parte il fatto che non sono più propriamente un dirigente, la verità è che non me ne frega niente. Sono anni che non faccio un percorso, perché tutte queste domande?»

Cronista: «Frank, sei stato visto l’altro giorno. Non te lo aspettavi? Ah? Dì la verità, non te lo aspettavi di essere spiato? Frank, perché giochi a golf?»

Me: «Sì, è vero, ci sono stato. Ma non ho veramente giocato. Sono solo arrivato là. Ho tirato una pallina o due, giusto per ricordarmi cosa vuol dire colpire il passato. Il fatto è che quello è un luogo, uno dei pochi luoghi, dai quali riesco ad incominciare a dimenticare.»

Obbligo dotazioni invernali

Dotazioni_Invernali

Vittime delle regole

Per chi si trova a viaggiare lungo le autostrade con una certa frequenza appare chiaro che lungo il cammino della nostra vita c’è spazio per due sole sollecitazioni importanti: le sfighe e i moniti. Dal mondo esterno, parlo di quello che viene promulgato da chi ha un po’ di potere, non arriva praticamente null’altro che questo.

Quando sono comparsi, molti anni fa, avevo dei dubbi sul fatto che i tabelloni luminosi che si incontrano lungo il percorso qua e là, quelle due mezze righe di frasi formate di pallini luminosi, potessero avere un reale utilizzo. Con il tempo mi sono dovuto ricredere. I meccanismi sono molto semplici.

Se sei in ritardo, lì ti fanno comparire un numero adeguato di chilometri di coda davanti a te. Ci affiancano qualche simbolo confuso che vuole simboleggiare un incidente oppure dei lavori in corso. A volte il simbolo è non intelleggibile, tu cerchi allora di capire cosa significa, e, distraendoti nel farlo, tamponi chi ti sta davanti, così loro possono finalmente dare un senso compiuto alla coda che c’è innanzi, facendo finalmente comparire sui tabelloni il simbolo “Incidente!”.

Se non sei in ritardo, o non sei particolarmente in ritardo, allora preferiscono puntare sull’effetto monito. Esiste una gamma completa di raccomandazioni, che quando mi fermo a pensarci, non so nemmeno bene il perché, mi viene la pelle d’oca. Possiamo capire facilmente l’importanza insita nel ricordare agli stanchi viaggiatori il pericolo di colpi di sonno, cinture non allacciate e cellulari fluttuanti nell’aria. A questi moniti, diamo un senso sociale compiuto. E sopportiamo di buon grado quella vena di ansia che ci trasmettono.

Ma quando sono esaurite queste frasi, i passaggi successivi francamente mi risultano indigesti. Durante l’estate imperversava un messaggio sibillino, scritto in mille forme diverse e anche in più lingue: Aree di sosta videosorvegliate, divieto di scarico. Ma divieto di scarico di cosa? Di sacchetti di immondizie? Di rifiuti liquidi urbani?

Quando si avvicina l’autunno ne arriva un’altro di monito. Obbligo dotazioni invernali! So di andare controcorrente. So che la sicurezza sulle strade è fondamentale. So anche perfettamente, per esperienze vissute, quanto sia pesante vivere certi accodamenti che si formano in presenza di nevicate che colgono gli automobilisti impreparati.

Tuttavia io considero un abominio il fatto che con l’arrivo dell’autunno diventiamo, salvo rare eccezioni, un esercito di assatanati sostitutori di pneumatici invernali. E poi in primavera inoltrata, quando stiamo già iniziando da diverse settimane a goderci al mare i primi soli forieri dell’estate, ritorniamo nella mischia a sostituire le gomme da neve con gomme da spiaggia.

E di tutti gli sprechi immensi conseguenza di questi moniti autostradali, ne vedo uno particolarmente importante: lo spreco della nostra ormai dimenticata capacità di autodeterminarci, della nostra libertà di esprimere con compiutezza la maturità e la saggezza di cui dovremmo essere portatori.

E poi, non so se ci avete fatto caso, da quando ci sono questi obblighi, in pianura, non nevica quasi più.

Lasciare l’impronta

Lasciare_limpronta

Le dinamiche moderne

Un tempo non era così. Non è la prima volta che un articolo inizia con questa frase. E temo non sarà nemmeno l’ultima. Chi nel passato voleva affermare i propri talenti doveva arrovellarsi per anni con quella parola, gavetta, che già solo a pronunciarla veniva il “latte alle ginocchia”.

Specialmente nell’arte, nella musica e nella recitazione, un tempo per avere anche solo un minimo successo bisognava fare un percorso ad ostacoli tutt’altro che scontato. Spesso ci voleva una coincidenza fortuita, l’incontro casuale con un talent scout o la forza emotiva di non mollare mai o, in alcuni casi, la forza di rinunciare ad un pezzo del proprio orgoglio per assecondare qualche ricatto per veder riconosciuti i propri meriti.

A volte, tante volte, i riconoscimenti arrivano anche a chi non meritava nulla.

Oggigiorno non saprei dire se le cose siano realmente cambiate. A dire il vero non credo ci sia stato ancora un cambiamento effettivo in queste dinamiche. Ma, in ogni caso, il processo di selezione del talento si sta modificando profondamente. Specialmente in tutti quegli ambiti in cui l’originalità si può intuire anche solo guardando una pagina web, quelli sono gli spazi dove le regole di un tempo non valgono più. E le persone, i giovani soprattutto, vivono e vivranno sempre di più un luogo dove lasciare il loro segno.

Non sarà facile. La concorrenza diventerà di ordini di grandezza più agguerrita di oggi. Bisognerà fronteggiare non più i grandi produttori della musica, del cinema e delle altre arti, ma i grandi distributori di contenuti: i Facebook, i Google, gli Youtube e quelli che verranno. Che decidono e decideranno sempre più chi deve vedere cosa. Ma non c’è dubbio che la possibilità di creare e condividere la propria creatività saranno immense.

Ci sono un’infinità di esempi in rete. Ad esempio nella musica, le cover fatte da ragazzetti carichi di entusiasmo e di grandi qualità a volte appaiono pure migliori degli originali. E ci sono anche tanti casi in cui si capisce che la differenza tra un grande artista e un potenziale grande artista, nel mondo di oggi, non è poi così tanta.

Cito un esempio in cui mi sono imbattuto assolutamente per casualità, dove la casualità è fatta sempre dalla proposta sapientemente guidata dalla Rete. Una ragazza,  Molly Kate Kestner, ha scritto e cantato un pezzo interessante, da molti punti di vista. Quando l’ho ascoltato la prima volta, ho fatto fatica a non associarlo al film Interstellar, anche se riconosco che i punti di contatto sono inesistenti. Eppure, ho ascoltato un pezzo musicale di una ragazza perfettamente sconosciuta e ho provato emozioni molto simili a quando ho visto, sempre in Rete, il trailer di quel film.

Un tempo non era così.

Il Gioco dell’Oca

Gioco_dellOca

Fate tre passi indietro con tanti auguri

Ogni persona ha il proprio percorso per trovare la propria strada. Ogni percorso ha i suoi ostacoli e le sue facilitazioni. E non di rado capita di imbattersi in un evento che ti fa ritornare nelle caselle indietro. A ripercorrere bene il perché dei nostri errori.

Come nel gioco dell’oca, se si è sfortunati, dopo un malaugurato lancio di dadi, capita addirittura di ritrovarsi alla casella iniziale. Ma alla fine, credo sia vero per i più, succede che si gioca così tanto a questo gioco, che prima o poi, almeno una volta nella vita, si arriva alla casella finale come vincitori.

Reminder Facebook

Notifica_Facebook

Aiutare a ricordare

Oggi è sabato.
Come tutti i sabato da molti mesi a questa parte Frank non riusciva più a dormire. Gli altri giorni della settimana non aveva particolari problemi. Sabato no. Se avesse continuato a non dormire in questa maniera così travagliata, avrebbe sicuramente fatto cambiare giornata o almeno la modalità di invio degli avvisi agli utenti.

Nemmeno sapere che il suo stipendio era raddoppiato da quella volta, sapere di potersi permettere nuovi lussi gli lasciava spazi per dormire.

Avevano detto che era stato incredibile. L’idea di avvisare il mondo di tutti i compleanni imminenti … Un vero colpo di genio. E il genio, in aziende come questa, viene premiato.

Questo sabato stava ancora peggio del solito. Lunedì aveva assistito ad una conferenza del management dell’azienda sullo stato di tutte le principali iniziative. Alla sua idea erano state riservate ben tre slides. Con i numeri. Il numero di messaggi di auguri censiti era impressionante. A leggerlo al centro della prima slide, a fianco della cifra con gli introiti indiretti di quella iniziativa, avrebbe potuto far tremare i polsi, ma ormai, su di lui, quei numeri non facevano più colpo. A turbarlo era stata la seconda slide con il numero stimato di nuove coppie che si erano formate grazie alla sua idea geniale: il reminder compleanni. E ancor di più il numero di bambini che esse avevano prodotto. L’analisi automatica dei messaggi e dei post della rete aveva identificato chiaramente che almeno 6.818 nuovi bambini erano nati indirettamente grazie alla sua idea. L’almeno era sottolineato doppio e aveva un font più alto di tutte le altre parole della slide ed era seguito, più in piccolo, da un altrettanto inquietante in rapida crescita.
Quella slide era lì perché doveva essere il momento ilare della presentazione, il relatore si era divertito e con lui tutta la platea quando aveva indicato Frank con un gran sorriso e il braccio teso, dicendo che si sarebbe potuto dire che Frank era un po’ il papà di tutti quei 6.818 bambini. Tutti si erano girati a fissarlo con larghi sorrisi sornioni, come se lui fosse stato l’inventore di un giocattolo innocuo, una specie di liquidator che invece di sparare acqua o bolle di sapone, fosse stato predisposto per essere riempito di sperma.

La slide successiva lo aveva steso definitivamente. Recitava con soddisfazione che l’unico effetto collaterale erano state quelle sole 125.167 persone in tutto il network che avevano smesso completamente di fare auguri ai loro amici a seguito dell’inizio della nuova campagna di reminder compleanni. Rispetto ai benefici generali, una conseguenza trascurabile.

Insomma tutto un vero successo. A parte la sua insonnia del sabato, ovviamente.

I genitori e i figli

Succhiare_Pollice

Quel che resta della lungimiranza genitoriale

Non è semplice nel mondo di oggi trovare il proprio ruolo. Si comincia succhiando il proprio pollice già nella pancia della nostra mamma e quando si esce, la verità più autentica, è che si vorrebbe continuare a succhiarlo quel pollice.

Quelle rare volte che riesco a girovagare per i luoghi fisici e virtuali di questo mondo, da molto tempo a questa parte, vedo soprattutto pollici succhiati. Specialmente nella giovane popolazione maschile intuisco spesso che c’è qualcosa che non va. Magari ci si imbatte facilmente in giovani virgulti dall’aspetto spavaldo e dalla spiccata disinvoltura, persone giovani che hanno già fatto molte esperienze e si capisce che sanno vivere con naturalezza il lato giocoso della vita. Ma i loro gesti, i loro sguardi, la profondità del loro io, mi sembra tradisca un’ansia così subdolamente celata ed oscura, un malessere inconscio i cui risvolti nefasti temo debbano ancora iniziare veramente a palesarsi.

Non è solo una questione legata alle difficoltà del mondo di oggi, alla sua presunta carenza di valori o alla complicata declinazione del concetto moderno di “posto di lavoro”. C’è qualcosa che va al di là di quella che sembra essere la ricetta più semplice per spiegare l’inadeguatezza frequente dei giovani d’oggi nel fare il passo finale per diventare uomini.

Forse il trucco vero sta proprio lì, nella versione moderna e confusa di famiglia in cui il ruolo del genitore a volte viene pericolosamente confuso con quello di protettore.

Un figlio può crescere quanto vuole, ma non si affrancherà mai completamente da un genitore che ha dimenticato che rendere liberi i suoi figli è il passo fondamentale per continuare la propria crescita.